Un prezioso scritto d’epoca,
dato alle stampe nel 1879 per i caratteri dello Stabilimento tipografico
Civelli di Roma ed a firma di Gabriello Cherubini, contiene dati e riferimenti
di estremo interesse relativi alla fondazione di “Giulia” ed all’elezione a
protettore di “Castro” del martire Flaviano, nonché notizie su antichi
monumenti e Chiese della città di Giulianova.
Secondo quanto riportato dall’autore, la spiaggia di Giulia offriva già
allora ai villeggianti un “soggiorno
dilettevolissimo” ed era ravvivata
da un “via vai dei più animati che si
possano vedere nelle nostre marine nei giorni dei bagni “.
L’analisi del Cherubini
spazia in realtà per tutto il territorio chietino e teramano bagnato dalle
acque dell’Adriatico, e focalizza poi Giulianova, definito paese tra i più
belli di “aspetto e di postura” tra
tutti quelli che s’incontrano sulla costa: “….sopra
una facile ed amena collina è fabbricata questa cittaduzza, ch’io vorrei
chiamare elegante. Gioconda ed ampia prospettiva si apre all’occhio di chi si
fa a guardare dalla parte di Oriente” . L’immagine, dunque, perviene in
questo caso da un osservatore posto ad oriente, presumibilmente con le spalle
al mare. Posizione peraltro anomala, che ribalta un po’ la tradizionale vista
del panorama cittadino con il mare sullo sfondo. Ma lo scritto del Cherubini riveste
importanza anche per gli interessanti riferimenti di ordine storico-geografico,
che accrescono ed ampliano il panorama delle conoscenze relative alla passato
della città: “….non si può discorrere della moderna Giulia senza toccare alcuna cosa
dell’antico Castrum Novum, poiché se quella non sorse appunto sulle rovine di
questo, egli però è certo che fu fondata in luogo assai vicino a Castro e, chi
ben considera, vede che non più di un miglio, ad un bel circa, era distante
quella colonia romana dalla Giulia d’oggi. Ciò chiaramente dicono i parecchi
ruderi, che tuttora vi rimangono ad attestare eziandio come il Castrum Novum
non fosse stato molto lontano dalle sponde del Batino. Quel Batino, come è noto, corriponde all’odierno fiume
Tordino, nei pressi del quale l’autore attesta l’esistenza di un “assai capace porto” della cui
funzionale attività dovettero servirsi non solo i cittadini, ma anche
popolazioni viciniori, se è vero che la struttura “”non solamente rendeva pronti e sicuri i commerci di Castro, ma se ne
vantaggiavano anche le regioni pretuziane, palmense ed atriana.”
Ulteriore conferma alla
importanza commerciale che dovette avere la colonia si evince dall’esplicito
riferimento alle strade consolari e militari che attraversavano all’epoca la
regione pretuziana.Tra esse (Appia,
Valeria, Claudia), ruolo non meno importante dovette avere quella via Salaria
che “”toccando Truentum, si accostava
assai a Castro”. Il fiorente porto, la facilità dei collegamenti ed il
momento di benessere economico durarono però fino a quando “le contrade abruzzesi, corse anch’esse da
quei feroci uomini del settentrione, tutte n’eran poste a soqquadro e disertate
spietatamente” Questo evento
storico, che le cronache riportano concordemente, (secolo V dell’anno
cristiano) segnò, per così dire, l’inizio di una inarrestabile decadenza: “non più commerci, non più coltura delle
pacifiche arti, ma tutti ad apparecchiarsi, come meglio si poteva, a resistere
con armi alla mano a quelle orde scomposte”. Nel succedersi dei fatti, per ironia della
sorte, proprio quel fiume che aveva rappresentato per Castro la fonte prima di
ogni benessere commerciale divenne la causa determinante di disfacimento e calamità: “ …rotte le dighe, scatenate le scogliere, né
pensandosi più a ripararle, il fiume dilagando senza più alcun rattendo per le
vicine campagne, e impaludando qua e là le sue acque, rese quei campi, una
volta sì fertili, altrettante maremme, le quali, spandendo attorno ree e
pestilenziali esalazioni, divennero in breve fonte d’incurabili malattie, di
guisa che il paese ne restò miseramente impoverito di abitanti”. Ad ulteriore riprova cronache dell’epoca
registravano al riguardo che la donazione delle rendite del porto di Castro,
disposta a favore dei Vescovi abati di
Forcona, fu da questi ultimi in quel periodo rinunciata, per via della loro
oggettiva scarsità.
Di sicura presa sul lettore,
nel testo, la citazione di una non
meglio precisata “vecchia cronaca” la
quale avrebbe fornito, come si diceva in apertura, lumi e notizie sull’elezione a protettore di
Castro del martire Flaviano: “ ….i
cittadini di Castro, fatti già cristiani, scelsero a loro protettore San
Flaviano martire; il che avvenne, secondo la grossolana credenza di quei tempi,
per opera di uno strepitoso prodigio. Perocchè era tradizione che una nave
senza nocchiero, dal lontano Oriente, approdasse alle foci del Tordino, e che
essendosi cercato qualcosa che vi fosse dentro, vi si trovasse ben chiuso, in
una cassa, il corpo del martire Flaviano di Tarso. Ciò bastò perché quel santo
non solamente fu eletto a protettore di Castro, ma che eziandio il nome antico
del paese in quello fosse tosto tramutato in San Flaviano….”
Storia, leggenda o
tradizione. Vero è, però, che le cronache registrano con riferimento certo (4
giugno 1184) l’emissione proprio dal
borgo di San Flaviano di una Bolla papale a firma di Papa Lucio III e di altre nove Cardinali, dopo il loro
allontanamento da Roma a seguito di una sedizione popolare.
Lo stesso borgo, alla metà
del secolo XV, fu teatro di una cruenta battaglia tra le opposte fazioni degli
Angioini guidati da Giacomo Piccinino e degli Aragonesi, a capo dei quali era
Federico di Montefeltro, signore di Urbino. Questo evento fu fatale per il piccolo agglomerato urbano, oggetto di
devastazione e di rovina : “ …. i gravi
danni arrecati da questa feroce pugna, e l’aria pestilenziale che vi spirava,
ridussero San Flaviano ad una squallida borgata…” ma segnò, nel contempo,
l’inizio di una nuova era, che avrebbe generato la nascita e la fondazione di “Giulia” : “Giulio Antonio Acquaviva, duca di Atri, ch’ebbe ancor signoria e titolo
di conte di San Flaviano, vedendo soprastare a quel paese così funeste sorti,
pensò volerlo rifabbricare in luogo più salubre ed opportuno, come fu quello da
lui scelto fra il Tordino ed il Salino. E perché poi di quest’opera rimanesse
ne’ futuri perpetua memoria, volle il duca che il nuovo paese dal suo nome
fosse chiamato Giulia.”
Siamo nel triennio
1469-1471. D’altro canto il buon Duca
non dovette agire da solo nella peculiare impresa. Da Napoli, infatti, lo
stesso Re Ferdinando I d’Aragona volle fornire il suo apporto, formalizzato in
un decreto, datato 3 maggio 1471, con il quale venivano concessi importanti e
particolari privilegi che potessero favorire il processo di riedificazione
della nuova Giulia sui resti del distrutto borgo di San Flaviano. Incoraggiato
ancor più dall’appoggio ricevuto, Giuliantonio proponeva iniziative volte a
facilitare il corso dei lavori: “ ….nè
alcuna cosa lasciava perché popolazione e commerci fiorissero nella nascente
Giulia e, a promuovervi il concorso delle genti vicine, con lettera del 29
gennaio 1473, ordinava che tutti quelli che venissero ad abitarvi avessero in
dono una certa quantità di terreno per seminar grano e piantar vigne”. Come
si vede, dunque, chiunque avesse accettato l’invito a diventare “giuliese”
avrebbe avuto in assegnazione ed in proprietà un fondo per la coltivazione
della terra. Così (siamo ormai nel 1482)
furono gettate le prima fondamenta e si iniziò a fabbricare le prime case . In
segno di gratitudine i nuovi abitanti vollero fornire un segno di tangibile
riconoscenza alle casate degli Acquaviva e degli Aragona, fondatori della loro
“novella patria: “ … vollero che vi si
alzasse a stemma comunale un cavaliere armato, immagine del Duca, lasciando
l’altro antico di un castello con torri al lato, ch’era quello di San Flaviano”.
Se Giuliantonio aveva
tracciato la strada da percorrere, i suoi discendenti non furono da meno nel
completare l’opera : “ ..nè il successore
di Giuliantonio, che fu Matteo III, si mostrò meno sollecito del padre nel
favorire efficacemente e nel promuovere la prosperità di Giulia con ogni sorta
di opportuni provvedimenti; né coloro che vennero appresso furono da meno nel
compiere l’opera egregia degli antenati..”
Così, nel tempo, Giulia
consolidava il suo aspetto , arricchendosi giorno dopo giorno di case, vie,
edifici e strutture : “ ..la strada
principale è quella detta del Corso, abbastanza larga e ben lastricata; le altre,
meno comode, scorrono in varie direzioni il paese….Ma il lato più appariscente
di Giulia è quello che guarda la strada, per cui molto agiatamente si discende
alla spiaggia. Quivi case meglio costruite, dove avrai ad ammirare
l’incantevole prospettiva del sottoposto mare Adriatico e l’arte industre
dell’intelligente giardiniere….” E
nel discendere verso la marina “ … cammin
facendo si incontra un’antichissima Chiesa, Santa Maria a Mare, la sola rimasta
fra le tante ch’erano in San Flaviano; ha una porta in pietra, il cui arco e
stipiti sono adorni da scolture simboliche in bassorilievo, divise in tanti
scompartimenti riquadrati; possono stimarsi avanzi di tempio pagano, esprimenti
culti barocchici…..”
A poco a poco la parte bassa
del paese assunse una sua indipendente connotazione, ponendosi come meta ambita
di vacanza e villeggiatura: “ … la stazione
ferroviaria, i molti casini di varia e gentile architettura, che fiancheggiano
l’ampia e lunga via consolare, rendono dilettevolissimo il soggiorno nella
spiaggia durante l’estate. Tutti, per due o tre mesi, vi passano lietamente la
vita, i giovani confortati da ogni specie di divertimenti in balli, in musiche,
in passeggiate per mare e, se volete, anche in amori cavallereschi; gli
attempati poi in giuochi più o meno rischiosi…” Naturalmente l’amena località non era, e non
era giusto che fosse, ad esclusivo uso e beneficio dei residenti , ma “…quivi accorrono volentieri, o per rimanervi,
o per visite agli amici ed ai parenti, quelli dei vicini paesi, o delle non
lontane spiagge di Montepagano, Calvano, Silvi, Castellammare ecc. E’, per dir
tutto in breve, un vi vai de’ più
animati che si possano vedere nelle nostre marine nella stagione de’ bagni. Chi
non crede, venga e veda.”
E davvero c’è da credere che
il luogo avesse qualcosa in più da offrire ai villeggianti, se si considera che
essi venivano a trascorrervi le vacanze
da borghi situati comunque anch’essi sul mare come Silvi e Castellammare
(Pescara).
Gabriello Cherubini, storico,
umanista e letterato (Atri 1817-1892), lasciò alla sua morte un inedito e
ricchissimo epistolario che potrebbe rappresentare interessante e stimolante
oggetto di analisi e di ricerca per lo studio di personaggi e località
dell’epoca.
Lo scritto esaminato,
raccolto nella collana “Giovinezza” di B. E. Maineri, veniva offerto ai
cittadini, nel 1880, come strenna natalizia.