Storia
di un amore impossibile
(perché
fui bancario…)
Non ci saremmo mai amati.
Ci conoscemmo per fatale combinazione un giorno di
febbraio di 35 anni fa. Io ero un giovincello appena laureato, tu eri
una matrona elegante, opulenta, da tutti desiderata, sognata e
vagheggiata. Mi colpì come un fulmine a ciel sereno la tua sontuosa
fastosità, la ricca e doviziosa corposità del tuo patrimonio, la sensazione di
sicurezza che scaturiva dal pensiero di poter trascorrere una vita intera
protetto dalle tue ali materne.
Tu eri madre di molti figli, immagine storica per il
territorio, fonte inesauribile di conforto e di tangibile assistenza, porto sicuro
per ogni nave sconvolta dalla bufera, seno caldo ed accogliente per mille
bocche da sfamare.
Tu avresti garantito il mio futuro e quello della famiglia
che andavo costruendo. Così ci conoscemmo meglio e divenni anch’io, come tutti
quelli che stasera sono qui riuniti, tuo devoto figlio.
Ma io e te non ci saremmo mai amati.
Tu eri elegante, austera, ma fredda come una piramide di
ghiaccio. Non ti “molcea il core” la musica del mare, la melodia del canto
degli uccelli, il poetico librarsi in
volo di un gabbiano.
Tu non distinguevi i colori dell’alba e del tramonto. Non
sorridevi del gesto innocente di un fanciullo, né piangevi vedendo un
pettirosso morire.
Io sì.
M’accorsi, nel tempo, che mai avremmo avuto comune sentire e
che mai avremmo riso o pianto insieme per lo stesso motivo.
Nel mio petto batteva un cuore, nel tuo il freddo meccanimo di una calcolatrice.
Non ci saremmo mai amati.
Forse non avremmo dovuto neanche incontrarci.
Tu mi avresti sempre considerato un figlio affettuoso, ma
diverso. Per me saresti stata una madre generosa, ma di adozione.
Io ti parlavo di greco e di latino e tu mi rispondevi con le
partite doppie. Io ti recitavo le liriche di Prevert e tu mi leggevi i bilanci
consolidati. Io le parole, tu i numeri. Troppo diversi.
Perciò non ci saremmo amati.
Così nel tempo la nostra unione è stata di reciproco
rispetto, ma innaturale. Adesso al termine di 35 lunghi anni di convivenza, è
giunto il momento fatidico del distacco.
Come avviene alla fine di ogni storia dovremmo avere rimpianti,
rammarichi, nostalgie, rimorsi. Ma chi ce l’ha??? Oggi a vederti così, stanca, lacera e
distrutta dal comportamento di alcuni figli degeneri , non più bella e maestosa
come un tempo, provo per te, nonostante tutto, un senso di affetto e tanta
amorevole compassione.
Addio mia vecchia e cara magnanima benefattrice, fredda ed
insensibile matrona, cui regalai gli anni più belli della mia esistenza terrena
, ottenendone in cambio benefici, ma non
riconoscimenti, assistenza, ma non apprezzamenti, affezione, ma non amore.
Ti lascio scendendo a stento da una scialuppa di salvataggio
e conservando solo il ricordo della maestosità del bastimento sul quale ero
salito tanti anni fa.
Mi auguro, per il bene di tutti, che tu possa risanarti.
Ma per quella profonda diversità che ci ha sempre distinto,
io non ti ricorderò nei miei scritti, né mai tu sarai regina del mio poetare.
E tu non inserirmi, ti prego, nei tuoi glaciali bilanci o in
quei micidiali, incolori, lugubri piani industriali……
Si avveri dunque il definivo distacco.
Tu mi hai dato sempre materna e concreta assistenza, io sono
stato tuo servitore, rinunciando ai sogni ed alle apostasie della mia mente.
Ma non ci saremmo mai potuti amare.
Bellissima Sergio, non tutti capiranno tutto ma il senso è inequivocabile. Non posso fare a meno di trasmetterla a un ns. "doppista" che apprezzerà, ... sinceramente. Ciao Mimmo
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