La situazione era precipitata. Ci si preparava ad un ormai
non più evitabile conflitto mondiale che avrebbe avuto esiziali conseguenze per
tutta la stirpe nota delle formiche. Solo il destino unico agente esterno,
imponderabile per tutti, avrebbe potuto
ora evitare la grande guerra.
E proprio il destino, al quale in verità nessuno dei capi
di Governo in quel momento stava pensando, si interpose tra le pagine di quel
libro di storia, all’improvviso, e ne scrisse l’ultimo tragico capitolo.
Mentre Salizolla era in viaggio, prima ancora che potesse
giungere alle porte del Formicaio di Valmattone per consegnare il funesto
documento, si udì per l’aria un boato lontano, cupo e sinistro, che divenne
all’improvviso agghiacciante fragore e poi terribile esplosione. La terra si
aprì fin dentro le sue viscere, come compressa sotto un’enorme ed immane massa
corporea, ignota, proveniente dal cielo. Non ci fu più luce e l’aria si
impregnò di odori nefasti e nauseabondi. Un calore improvviso pervase ogni
luogo ed aumentò rapidamente fino a raggiungere temperature di fusione.
Innocenti larve di formichini appena nati volarono allora nella tempesta di
vento come fuscelli. In un attimo solo crollarono come castelli di carta Montorica e Valmattone, e si impastarono
insieme in un unico ammasso di terra che stravolse i confini e gli sbarramenti,
le frontiere ed i limiti territoriali
stabiliti e definiti con tanta cura dalle leggi giurisdizionali delle
formiche. Milioni di individui, giovani,
anziani, vecchi, maschi, femmine, rimasero orrendamente schiacciati da quella
massa informe e nessuno in quella poltiglia di terra avrebbe più davvero
distinto gli abitanti di un Formicaio da quelli di un altro, i Capi di Governo
dai rivoluzionari, gli intellettuali dagli analfabeti, i generali dai soldati,
i ricchi dai poveri. S’erano fusi insieme i Formicai di terra dura e quelli di
terra friabile, i giardini di erbetta ed i ricoveri occasionali di chi non
aveva avuto, e non avrebbe mai più avuto, alcuna dimora.
Il piccolo Luca, giocando e correndo, aveva inavvertitamente calpestato quella pur
minuscola porzione di terreno che per tanto tempo aveva rappresentato il mondo
intero per tante comunità di formiche, raccogliendo in sé gioie, illusioni,
speranze, sogni di gloria, odi, rancori, invidie ed inganni, desiderio di fama
e di grandezza, aspirazioni e brame di potere. Tutto vano, tutto inutile, tutto
svanito. Tutto diventato nulla.
Con il suo gesto accidentale Luca, con una involontaria
panacea, avea dissolto i dubbi di Dulcicoda, frenato le bramosie espansive di
Duroventre, posto fine ai dissidi interni di Passopiano, infranto i sogni
rivoluzionari di Mandibola, annullato le due super potenze. Aveva risolto, insomma, tutti i problemi
esistenziali dell’intera stirpe delle formiche.
- Qui c’è un
formicaio - gridò alla mamma Luca, il quale non si era accorto che i formicai
in verità erano più di uno perché non ne aveva distinto i confini e perché gli
era sfuggita, evidentemente, quella storica e laboriosa divisione territoriale
che aveva rappresentato motivo di contesa per tanto tempo tra i vari capi di
Governo.
- Ci sono tante
formichine morte, vieni a vedere, mamma!-
E così dicendo trasse da quella poltiglia informe,
sollevandone il cadavere con l’indice ed il pollice della manina, le gloriose
spoglie mortali del prode Mandibola, cui la sorte non avrebbe potuto riservare
più degna fine che quella di avere ultima apoteosi tra gli uomini, dopo aver
avuto fulgida ed epica fama tra le formiche.
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