La definizione che Cicerone dava della
res pubblica non è dissimile da quella che dovremmo oggi attribuire
al concetto di Stato: "cosa del popolo" intendendosi per popolo
non un qualsiasi aggregato di gente, ma un insieme di persone associatosi
intorno alla condivisione del diritto e per la tutela del proprio interesse».
Viene spontaneo immaginare che alla guida dello Stato, così come alla
guida delle sue fondamentali istituzioni delegate a garantirne la solidità e la
funzionalità, siano deputate persone munite di doti particolari, eccellenti
nella cultura, nella moralità, nella perspicacia, nella difficile dote della
mediazione e del dialogo. Se ciò non avviene, o avviene solo in parte, devono
esserci delle ragioni precise che non possono e non devono destare
meraviglia.
In questa sede, da giornalista, da docente di lingua
italiana, ma soprattutto da profondo amante della lingua italiana, mi
preme focalizzare solo uno dei sopra citati aspetti, peraltro di recente venuto
alla ribalta della cronaca.
Molti politici, ma anche molti insegnanti, molti professionisti
in diversi campi dello scibile, ignorano fondamentali principi e regole della
lingua italiana. Questa palese carenza, ancor più evidenziata oggi dal
proliferare di sistemi di diffusione di massa, come i famigerati social, si
manifesta in modi e momenti diversi e diventa oggetto di derisione e di
scherno. Ma viene da chiedersi quale sia la causa scatenante di questa
fenomenologia, a quanto pare non rilevabile in modo così evidente nel passato.
Un'analisi del fenomeno non può prescindere da un fattore base
di estrema importanza: la carriera scolastica. E' di pubblico dominio che
oggi, a partire dalle Scuole Elementari e poi via via fino alle Superiori, non
esiste il cosiddetto "polso fermo" , ossia la famosa regola, peraltro
logica e coerente, di interrompere anno per anno il percorso formativo a chi
non è meritevole di promozione alla classe superiore. In buona sostanza e per
dirlo alla paesana, vanno avanti tutti, capaci o non capaci, istruiti o non
istruiti, degni o non degni di accedere al gradino superiore. Insomma, se
sai leggere o non sai leggere, sai o non sai fare di conto accedi comunque alla
seconda classe, poi alla terza, alla quarta e così via. Stessa cosa poi per le
Medie e le Superiori. Alla pari, chi sa e chi non sa, chi studia e chi non
studia. Il motivo di tanta "manica larga" è da ricercare anche in un'ennesima
trovata degli psicologi strizzacervelli che si sono inventati, in partenza,
traumi infantili irreversibili per chi è costretto a ripetere una classe alle
Elementari o a sfigurare davanti ai propri compagni. A rincarare la dose
scendono in campo i genitori, un tempo schierati a fianco dei maestri e dei
docenti, oggi pronti a combattere a fianco dei figli, ritenendo inconcepibile
che il proprio pargolo possa valere o meritare meno di un coetaneo. E così
collaborano in modo sostanziale a creare, non so quanto inconsapevolmente, dei
futuri ignoranti.
Questi ultimi, ai quali si aprono autostrade nella carriera
scolastica, studentesca ed universitaria, arrivano poi alla fine degli studi
con un titolo che vale né più né meno di quello che altri (pochi)
hanno conseguito sbattendo la testa sui libri e dedicando gli anni più
belli della vita a faticose rinunce e a logoranti giornate trascorse a studiare
in modo serio e dignitoso.
In questo modo la carovana trasporta tutti, senza fare nessuna
distinzione dei reali meriti.
La Società e lo Stato agevolano questo "curriculum
inscientiae" con delle trovate che favoriscono l'impreparazione a tutti i
livelli. Un tempo, ma nemmeno tanti anni fa, il famigerato Esame di Stato dopo
i vari scritti prevedeva un'interrogazione su tutte le materie oggetto di
studio nei cinque anni delle Superiori, nessuna esclusa. Insomma, una sorta di
riepilogo generale dello scibile acquisito durante la carriera liceale. Poi ci
fu la restrizione a sole due materie da portare all'orale, una scelta dal
candidato e l'altra dalla Commissione (ma comunque comunicata al candidato per
vie traverse lungo tempo prima della data fissata per il cosiddetto
"colloquio..."). Per non parlare poi del famigerato
"Quizzone" oggi abolito per "semplificare" (sic !!!)
la prova ai poveri studenti...
Insomma, percorsi più facili, strade spianate,
agevolazioni per favorire chi non sa, non vuol sapere e non ha nessuna
intenzione di apprendere.
A fronte di questa situazione non c'è da meravigliarsi, come si
diceva in apertura, se al vertice delle Istituzioni o a ricoprire incarichi
di strategica e decisiva rilevanza ci si imbatte in individui non
preparati, non capaci di esprimersi nell'idioma nazionale senza incorrere in
madornali strafalcioni, ignoranti di Storia, Geografia, Scienze, Matematica e
via dicendo perché non hanno acquisito sufficienti conoscenze pur avendo
seguito corsi regolari di studi.
L'albero fruttifica bene se giuste e buone sono le sementi che
l'hanno generato. Un palazzo tiene anche quando arrivano terremoti e
inondazioni se le fondamenta sono resistenti e salde.
Ma non si può pretendere di raccogliere bene se si semina male.
Per tale ragione il fatto che politici, professionisti,
insegnanti, maestri di ogni ordine e grado, individui che la Società colloca in
posti importanti e strategici siano in difficoltà di fronte alla lingua
italiana così come di fronte ad ogni altra branca dello scibile, o diano prova
continua del proprio "non sapere", non deve meravigliarci più di
tanto.
Possiamo essere afflitti, dispiaciuti, irritati, sconvolti,
sdegnati, indignati, stizziti, offesi, tristi, rammaricati, sconfortati.
Ma non meravigliati.
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