Al
Belvedere di Tragara, al quale accedevamo per vie ogni giorno diverse, passando
davanti a ville con nomi di donna o a giardini inventati su rupi scoscese,
avevamo fissato, per un giorno di settembre, il nostro ultimo appuntamento che
avrebbe segnato la fine delle vacanze. Ci saremmo salutati, e certamente mai più
rivisti. Era il capitolo ultimo della nostra
breve ma intensa storia.
Quell’
incontro avrebbe posto fine alle nostre lunghe passeggiate, alla vista di quel
mare profondo, alle ripetute ricerche della mai vista lucertola azzurra, ad un
romanzo che non avrei mai scritto.
Presto
lei sarebbe tornata ai civettuoli discorsi con le amiche per le vie colorate
della sua metropoli padana, alle riunioni serali di nuove sfilate di moda, alle
corse pazze e sfrenate su auto rosse coi sedili fascianti a fianco di montoni
azzurrati profumati Trussardi. Sarebbe rimasto, di me, solo un vago ricordo da
riproporre d’inverno nei noiosi racconti delle vacanze al mare, tra bigodini e
profumo di shampoo durante le manipolazioni un pò ruffiane di effeminati
coiffeurs.
Aspettai
a lungo che comparisse, come sempre, sullo sfondo del cielo terso, con i suoi occhi luminosi e con quell'incantevole sorriso che mai più avrei dimenticato. Attesi invano finchè il sole, ormai tramontato, scivolò nel mare,
nel nostro mare, mentre un canto di pescatori saliva melodioso e mesto dalla
lontana marina.
Non
indosso più oggi jeans e scarpe da tennis e non ho più con me il bagaglio di un
tempo, lo zaino in spalla. Gli scugnizzi che mi accolgono festosi mi chiamano
adesso “”signurì” oppure “‘o prufessore” e mi accompagnano lungo la stretta via
che conduce a quella vecchia, cara, giovanile dimora, che rivedo dopo tanti
anni con una punta di struggente rimpianto…
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