......In mezzo a tanta luce, tra questi suoni ovattati e
dolcissimi, rivedo sopra un tavolo immenso la tovaglia a fiorellini rossi
simile alle casacche che mia madre cuciva a me ed al fratello Dante, oggi non
più capace di trascorrere un pomeriggio intero inventando vicende per l’eroe
nostro preferito: il soldatino di piombo con il mitra e con l’elmetto.
Intorno al
tavolo prendono via via posto i convitati al banchetto. E’ un’armonia la
fusione ritmica delle varie voci che si accavallano e scompaiono e poi tornano,
tenui e poi forti, ora acute, ora basse, ora alternate dal rintocchi lenti
dell’antico pendolo, come quelli delle campane del convento dove insieme,
mamma, la domenica mattina ci recavamo con amabile consuetudine io, tu ed il
fratello Dante. La folla dei commensali è sistemata intorno al tavolo con la
tovaglia a fiorellini rossi.
Qui trascorriamo, rievocando il tempo. Provo a
immaginare tra questa confusione gli anni andati e per sempre perduti: tu vecchio zio, con i baffi che ti danno
aspetto austero, e tu, amico mio inseparabile dei mattini d’estate al mare, e
tu, madre, e tu, padre. Il tempo è trascorso con noi. Mi estranio a tratti dal
convito e voi non vi avvedete di questo mio fuggire. Come ora. Vedo laggiù,
nell’angolo sereno come sempre, ancora il volto di nonna Assunta. Sei sempre
pronta, nonna, a perdonare le marachelle di un piccolo discolo cresciuto e diventato,
oggi, un “grande”? Mi mostravi sovente le foto un po’ ingiallite del periodo
della tua adolescenza, quando eri giovanetta e vestivi di azzurro. Mi parlavi
con orgoglio dei tuoi vent’anni. Anch’io, oggi, ho subìto la stessa beffa.
Il mio rito inizia, come una favola moderna, da
un’allegra tavolata, simile a quelle che a Pasqua e a Natale usavamo imbandire
nella enorme sala di casa nostra. C’erano tutti: parenti e conoscenti. Ricordo
che il mio viso riflesso nella superficie concava del cucchiaio, si deformava
in mille modi diversi ed assumeva aspetti sempre più insoliti, quasi
grotteschi; allungandosi e deturpandosi non si rifletteva la mia immagine
reale, ma una immagine inconsueta, forse un simbolo del tempo che in modo non
diverso ha alterato, allegri commensali, i vostri volti.
Tu moristi giovane, Nadia, e il tempo non ti offese;
ma ora prima che il rito si compia, rivedo il tuo volto bianco e freddo che
baciai per l’ultima volta, bagnandolo di lacrime, quell’incredibile giorno di
tanto tempo fa. E’ ancora quell’espressione dolce e ingenua che ho davanti agli
occhi e non quella della ragazza in grembiule nero lucido che vedevo ogni
mattina nel cortile della scuola.
Tra tanta confusione, frattanto, ritornano, come echi
lontani, le note antiche e remote dei violini, il canto sublime dei flauti, il
dolce richiamo dell’arpa. Si odono armonie indistinte eppure sapientemente fuse
in un crescendo singolare.
Avverto palpiti misteriosi. In una rapidissima
successione particolari del mio passato si accavallano e si ripropongono come
giammai trascorsi, ma sempre vivi in parti recondite della mente. Nostalgie,
malinconie, rimpianti, dolori antichi che mi turbano e sconvolgono ancora. E’
un’apoteosi. Respiro ancora a fatica come quando udivo dalla finestra della mia
cameretta la pioggia picchiettare sulle pozzanghere con monotonia: poi
d’improvviso vi guardo nel volto, amici commensali, con insolita serenità, come
avessi raggiunto uno stato ideale di pace. Senza più turbamento, ad un tratto,
siedo anch’io con voi a tavola, dove sedevi tu, padre, quando la sera tornavi
dal lavoro. La stessa musica si fa più tenue e si ode appena.
Lo sfondo dell’immagine è soffuso di azzurro come la
veste di nonna Assunta giovinetta. Con rinnovata tranquillità ho il coraggio di
guardarvi in viso e, per mirabile incanto, ho la certezza che non
trascorrerete. Il tuo volto, Nadia, non è quello che vidi prima. Ora sei
sbarazzina e ingenua come nel giorni di scuola ed oso guardarti negli occhi
perché il tempo non saprà ferirti. Le prime rughe del tuo volto, mamma, non mi
incutono più angoscia, esse appaiono come i tocchi sapienti del pittore
romantico: un quadro bellissimo, che non potrà più divenire, ma che la mente
serberà tra i suoi possessi con ostentato orgoglio...
Nessun commento:
Posta un commento