martedì 5 ottobre 2010

IO CHECCO E PUTTI
(Brano tratto dal romanzo autobiografico “Abitavamo in via Quarnaro” di prossima pubblicazione)



Giovedì, 19 luglio dell’anno 1951 io entrai in contatto con il mondo dei vivi. 

Avvenne tutto in casa, come usava allora. In una casa di via Thaon de Revel , a poco più di venti metri dal mare. Proprio nel punto che corrisponde alla stanza in cui io vidi la luce, giungono nitidi, da sempre, trasportati dalla brezza, il sentore della salsedine ed il profumo delle gomene abbandonate sulla sabbia.  Forse per questo, o forse anche per questo, da sempre nel mio animo palpitano sensazioni di emotività e di appassionato attaccamento al mare ed alle sue creature, all’acqua in genere, agli spazi immensi ed infiniti, alle distese senza limiti .

Nacqui a Giulianova, ridente località costiera, soggiorno estivo balneare già famoso nel primo novecento, luogo di salubrità e di benessere, meta di villeggianti e di colonie marine, perla d’Abruzzo per l’amenità del suo clima e per il chiarore limpido delle sue notti estive, per la meravigliosa sinfonia che emana dai pescherecci attraccati nel porto.
Al porto andavamo spesso io Checco e Putti.

Checco e Putti (si chiamava e si chiama Angelo, ma lo chiamavamo per cognome) sono le prime due persone alle quali la mia mente fa riferimento tornando a ritroso nel tempo, fino ai banchi di legno della prima elementare, frequentata insieme in via Quarnaro, a Giulianova lido, non lontano dal mare e dal quotidiano profumo della salsedine. Checco e Putti sono le prime due persone che hanno rappresentato un parametro fisso dell’infanzia e dell’adolescenza, uno specchio, un termine di paragone, un complice rifugio. Due compagni di cordata nell’ascesa del monte, alla conquista della vetta.
Non so se e quanto ricorderanno.

Al porto andavamo, spesso con le bici e con le canne, a pescare le “bavose”, orrendo pesce di scoglio, non commestibile, che dopo pescato eruttava bava appiccicosa dalla bocca ancora per lungo tempo. Ne riempivamo spesso anche un intero  secchio, che poi vuotavamo in mare, alla fine della giornata,  con la sua schiuma bianca.
Eravamo studenti della Scuola Media V. Bindi, per la prima volta una classe mista.  Le ragazze indossavano grembiuli neri con i colletti bianchi, ma di fogge e di modelli diversi. Il profumo di quel pesce, sulle dita, restava fino a sera  e le scaglie biancastre si attaccavano ai polpastrelli.

A volte ci si organizzava per una breve scampagnata. Lo scopo era quello di estirpare dalla terra le radici della liquirizia, per poi succhiarne l’umore, fino a renderle poltiglia in bocca. Difficile individuare le piante, ma non per noi.
C’era una zona incolta, a nord del paese, oggi riempita di case e di villini, ma un tempo oasi di silenzio, di verde, di profumi e di colori…………………

1 commento:

  1. Il porto era il luogo fondamentale dell'amicizia. "Facciamoci una camminata sul porto" era la frase che saltava fuori quando non si sapeva che altro fare, oppure quando ci si avvicinava alla fine della serata, ma non si voleva ancora andare a casa. Forse io mi riferisco a un periodo in cui eravamo più grandi, ma la passeggiata sul porto era punto di partenza per filosofeggiamenti vari. E Checco me lo ricordo sempre presente nelle mie passeggiate sul porto. Certe volte eravamo anche solo noi due, quando magari Luciano non era uscito, in gelide sere d'inverno, magari con la neve che scendeva e si posava sui motopescherecci. Le mani in tasca, si camminava e si parlava di tutto e di niente. Ma sempre con la sensazione che l'intero universo fose lì e girasse attorno noi... Sensazione che poi negli anni, si perde progressivamente...

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