giovedì 28 aprile 2016

LINGUA MADRE ED ESIBIZIONISMO ANGLOFONO

 Rilevazioni statistiche attendibili attestano che oggi circa il 60% della popolazione italiana non è in grado di parlare una lingua diversa dall'italiano. Questo dato, per certi versi abbastanza sconcertante, appare ancor più strano se si pensa a quanto spazio abbia  il ricorso a termini inglesi  sia nella lingua parlata che in quella usata ogni giorno nella comunicazione di massa e nei  messaggi mediatici. Una sorta di rifiuto della lingua madre che apre ampi spazi all'uso di termini inglesi anche quando - e qui è il problema - quando non ce n'è assolutamente bisogno, atteso che esistono in italiano  una parola, un'espressione, un vocabolo in grado di esprimere in modo esaustivo e diretto quello che invece si va a pronunciare o a scrivere ricorrendo all'inglese. Ancora più sconcertante è il fatto che la massa di parlanti o di scriventi, affascinata dal desiderio di esibire la propria conoscenza anglofona, spesso cela dietro il proprio millantato sapere un immenso vuoto culturale, soprattutto con riferimento alla lingua inglese. La ricerca di questo elitarismo linguistico, a scapito del proprio idioma naturale, genera un continuo rigetto di termini italiani che, pur conservando una valenza semantica di sicuro affidamento e di valida pregnanza comunicativa, finiscono per essere abbandonati. Al loro posto si usano corrispondenti termini inglesi, spesso coreografici e musicali, ma dei quali sovente chi parla ignora la grafia, l'etimo e la natura, affidandosi al pericolosissimo sentito dire e ad assonanze che possono risultare comicamente goffe, ove non ridicole.
Questa sudditanza linguistica crea un'involuzione della lingua madre, costretta a soggiacere ad un  continuo e devastante tsunami di termini inglesi che male fanno a chi parla e a chi scrive, ma ancor più a chi ascolta e a chi legge.
Quest'ultimo, se fa parte di quel 60%, deve rassegnarsi ad essere straniero a casa sua.

sabato 23 aprile 2016

USI, COSTUMI E SUPERSTIZIONI NELLE TRADIZIONI POPOLARI ABRUZZESI - I RACCONTI DEI NONNI -


                   La cultura popolare, con il suo bagaglio di usi, costumi, tradizioni, consuetudini, credenze e superstizioni, rappresenta un campo di indagine ricco ed affascinante, per chi voglia andare alla ricerca ed alla rievocazione di modi di vivere ormai desueti ed ignoti alle nuove generazioni. L'Abruzzo, con particolare riferimento alle zone più interne e meno contaminate dal processo di progressivo adeguamento al ritmo incalzante della modernità, è territorio che racchiude in sé un tesoro inestimabile di tradizioni popolari ancora vive, quanto meno nel ricordo delle vecchie generazioni. Sulla base di questo assunto ho voluto intraprendere un lavoro di ricerca, sul campo, in alcuni paesi dell'entroterra teramano per raccogliere dalla viva voce di alcuni personaggi anziani  (spesso molto anziani) una testimonianza diretta,  e ricostruire, per quanto possibile, usanze e pratiche singolari e curiose, che il tempo ha ormai avvolto nel velo della dimenticanza. Naturalmente molte antiche consuetudini, quanto meno singolari agli occhi delle nuove generazioni, trovano già precedente conferma in molti testi specifici che trattano di storia delle tradizioni popolari abruzzesi. La particolarità, però, almeno negli intenti,  è stata quella di dare concreto e fattivo riscontro a quelle  tradizioni, spesso narrate da una generazione all’altra, con una verifica diretta sul campo. Il lavoro, non agevole, anche per via dell'atavica diffidenza che le persone di una certa età, soprattutto nei piccoli paesi dell'interno, palesano ancora davanti ad un microfono e ad un registratore, si è protratto per diversi mesi, ma alla fine ha reso significativi e divertenti esiti, riportando alla luce antichi usi e incredibili stranezze che costituivano, un tempo, i cardini della saggezza popolare.
Allo scopo di affinare la ricerca e nel desiderio di arrivare comunque ad una comparazione tra i diversi racconti degli intervistati,  ho esaminato attentamente le registrazioni, estrapolando i dati comuni che rappresentano l'oggetto di questo breve riassunto del complesso e voluminoso reportage.
Quello che emerge, e che costituisce un comune denominatore, ha attinenza con riti propiziatori, pratiche magiche, terapie naturali, superstizioni e curiose consuetudini. Una sorta di saggezza popolare, patrimonio esclusivo degli anziani che nel nucleo familiare rappresentavano, un tempo, la guida ed il riferimento certo cui rivolgersi nei momenti di difficoltà e, comunque, nei passaggi topici dell'esistenza. Il carisma che "il vecchio" o "la vecchia" di casa potevano avere nel contesto familiare non trova riscontro nella società moderna ed oggi appare inconcepibile alle nuove generazioni immolate alle lusinghe della tecnologia imperante.
La nascita di un figlio era considerato, allora come ora, un segno diretto dell'amore di Dio, un momento di grazia durante il quale si toccava con mano la benevolenza del Creatore verso la propria creatura. Usanza comune in diverse zone era quella di non baciare e di non far baciare da nessuno il neonato prima che avesse ricevuto il Sacramento del Battesimo. Generiche e comunque fuorvianti le risposte alla domanda sul motivo alla base di tale decisione che sembra scaturisse dal timore di una sorta di contaminazione, non solo fisica, ai danni del bambino. Si intendeva, in realtà, tenere lontani dal neonato sia mali reali che esoterici, motivo per cui oltre al divieto di contatto con le labbra per evitare contagi, si appendevano al suo collo cornetti d’oro o d’argento, in una singolare commistione di riti protettivi e propiziatori.  Quest’ultima usanza, confermata dalla concorde testimonianza di molti intervistati, mirava anche a rendere inoffensivo il potere del malocchio, che chiunque avrebbe potuto trasmettere al bambino tramite sguardi invidiosi o carichi di gelosia e di rivalità. La consuetudine, sempre adempiuta in modo discreto ma comunque mai apertamente dissimulato, offriva comode opportunità di scelta a coloro che per un motivo o per un altro avessero dovuto recare un dono al neonato in occasione del battesimo o nelle visite di cortesia che, allora come oggi, si rendevano ai genitori per la nascita del figliolo. Spesso in luogo di cornettini o di altri oggetti “magici” venivano regalati anche cuoricini d’oro e d’argento la cui funzione, in ogni caso, era la medesima: scacciare dal piccolo ogni forma di maleficio o di iettatura e proteggerlo da nefaste influenze negative.
Anche il momento del fidanzamento “in casa” seguiva i canoni di uno specifico rituale, comune a quasi tutti i paesi dell’ entroterra oggetto dell’indagine, fatte salve minime e comunque non rilevanti differenze. Al centro dell’attenzione, quando un giovine di belle speranze si presentava con i propri genitori e casa della futura sposa per chiederne la mano, era la trattativa relativa alla “dote”. Una vera e propria pratica preliminare mirata a concludersi con un contratto scritto, alla presenza di testimoni. Ovviamente le parti in causa erano i genitori dei due ragazzi e sul piatto della bilancia pesava la sostanza della dote di cui la futura sposa avrebbe dovuto disporre  al momento del matrimonio. Una volta trovata l’intesa e ritenuto congruo l’insieme dei beni che la ragazza avrebbe potuto portare con sé, si dava il via al periodo di frequentazione nel corso del quale il giovane avrebbe avuto facoltà di visitare spesso e  senza problemi la casa dei futuri suoceri come fidanzato ufficiale. Questo carisma di ufficialità non gli avrebbe consentito, tuttavia, prima del matrimonio, né di pernottare presso la dimora della ragazza né di portarla con sé in gita se non nell’arco di una sola giornata.  Non ho raccolto consensi da parte delle persone più anziane, quasi tutte più che ottantenni, in merito all’evoluzione dei tempi ed all’assoluta libertà che regola oggi i rapporti tra i teen agers.  Molti di loro vedono anzi nell’indipendenza e nell’emancipazione dei costumi una sorta di regresso che penalizza fortemente quelli che ai loro tempi erano momenti magici e di grande coinvolgimento emotivo. Questo il parere che accomuna pressochè tutti i giudizi espressi al riguardo.
Interessante e confermata da concordanti racconti l’usanza, riportata peraltro in diversi testi dedicati all’argomento,  di mostrare in pubblico, durante il corteo nuziale, la biancheria oggetto della dote,  perchè tutti potessero ammirare la perfezione e la finitezza dei ricami e dei merletti, oltre che l’eccellenza dei tessuti. Naturalmente l’impossibilità di mettere sul piatto della bilancia beni di sufficiente valore per accompagnare la sposa al matrimonio non costituiva motivo talmente ostativo da rendere irrealizzabile l’evento. Traspare, tuttavia, dalle testimonianze degli interlocutori, un malcelato senso di commiserazione per quelle povere giovinette che, quantunque dotate di pregi e buone qualità, avessero dovuto convolare alle nozze senza corredo e senza alcun bene da portare in dote. Tale situazione avrebbe creato comunque una situazione di disagio ad entrambe le famiglie degli sposi, ovviamente per motivi opposti e facilmente intuibili.
Di grande interesse anche i metodi naturali che tanti anni fa venivano usati per curare malanni e stati di malessere fisico. Si ricorreva alle erbe e a medicamenti semplici e genuini, alla portata di tutti e, ciò che più conta, sempre disponibili in casa. Raro e comunque disposto solo dal medico curante ed esclusivamente in casi eccezionali l’acquisto di medicinali in farmacia. Tra le diverse e curiose usanze è confermata da numerose testimonianze quella di utilizzare il vino rosso per impacchi alle ossa doloranti. Sulle ferite aperte veniva invece applicato un impasto di fave secche triturate e mescolate ad acqua, in modo da ottenere una farina densa e compatta.
Quali che fossero gli esiti ed i risultati, certo è che ognuno degli intervistati è ancora oggi fortemente persuaso della bontà ed efficacia dei sistemi sopra illustrati ed attribuisce all’evoluzione-involuzione dei tempi il ricorso a medicamenti chimici, ritenuti comunque tossici e inutilmente costosi.
Senza approfondire troppo l’argomento (per evidenti motivi) ho voluto chiedere notizie anche sul cerimoniale funebre, momento di grande afflizione e di comune cordoglio familiare. Con riferimento ad usanze ancora più lontane nel tempo qualcuno ricorda l’assoluto e strano divieto di  pulire la casa da parte dei congiunti del defunto nel giorno del decesso e la consuetudine, conservata in alcune zone dell’interno ancora oggi, di porre nella bara oggetti cari al deceduto al quale veniva comunque sempre posta in tasca una moneta per pagare il passaggio nell’aldilà. Comune quasi a tutti la menzione del “consolo” , anch’esso citato in diversi testi che trattano di tradizioni popolari abruzzesi. Si trattava di un vero e proprio banchetto funebre che veniva allestito dai parenti del defunto a scopo consolatorio e che prevedeva numerosi brindisi e bevute collettive in memoria del trapassato.
 Molti argomenti interessanti relativi ad eventi quotidiani ed alla vita di ogni giorno completano i dati della raccolta, condotta in successivi step, per evidenti ragioni, connesse alla difficoltà di prolungare oltre certi limiti la durata delle singole registrazioni. Va segnalato inoltre, per puntualità di cronaca, che molte notizie del dossier scaturiscono da domande dirette alle quali alcuni interlocutori “più difficili” , per via dell’età avanzata o per disagi fisici e mentali, hanno potuto rispondere solo confermando o correggendo e modificando in parte l’assunto iniziale. Questa limitazione, in alcuni casi, non ha consentito di portare  alla luce nuovi particolari, ma ha comunque contribuito al disegno iniziale, quello di assolvere ad un’ importante funzione di ratificazione e di prova di alcune usanze del passato, a metà tra la superstizione e le costumanze antiche.
Il materiale oggetto della ricerca  potrà essere utilizzato per un lavoro di più ampio respiro, corredato dalle testimonianze dirette degli interessati,  allo scopo di  lumeggiare un affascinante mondo di semplicità e di schiettezza, genuino ed autentico, per niente affatto  contaminato dalla tecnologia moderna, fredda e sofisticata, frutto amaro delle “magnifiche sorti e progressive”.