mercoledì 20 gennaio 2021

IL KARAOKE DEGLI IGNORANTI

E' davvero fantastico che oggi chiunque ne abbia desiderio possa scrivere e pubblicare quello che vuole ed avere una vastissima platea di lettori, la più eterogenea possibile, disposta ( o costretta) a leggere ed a commentare pubblicamente, se vuole, quello che legge. Ciascuno può intervenire esprimendo il proprio parere, assenso o dissenso, e dire la sua, ed innescare un sistema di reazioni che generano a loro volta successivi interventi di altri partecipanti, all'infinito, volendo. Ognuno è giustamente libero di "postare" quello che più gli aggrada, fatti salvi alcuni necessari colpi di forbice imposti dalla morale e dalla buona creanza. Questo avviene nei social oggi. E le distanze tra le persone si accorciano, i pareri si intersecano, i giudizi, le condanne, i plausi si succedono in ordine sparso, senza regole. Senza regole, appunto. Si è arrivati ad un punto tale di libertà di espressione (sacrosanta certo) che non ricorrono più misure, principi, norme, precetti per chi scrive e pubblica. E' come se si fosse improvvisamente aperta una finestra sul mondo dalla quale ciascuno è libero di pontificare a beneficio o a danno degli altri, senza freni, o perlomeno, senza alcuni freni che invece dovrebbero rappresentare un ritegno ineludibile ed assolutamente necessario. Ma in questo paradiso di totale indipendenza qualcuno (e purtroppo più di qualcuno) forte di un insperato ed incontrollato arbitrio a volte travalica i confini della propria cognizione e si avventura in campi che gli sono desueti, ove non assolutamente oscuri ed inesplorati. L'eccitazione di avere davanti una platea di lettori, quantunque anonima ed invisibile, agisce da acceleratore e genera una sorta di istigazione ad esprimere pareri e concetti su argomenti di cui si ha generalmente conoscenza solo sommaria ed approssimativa, figlia legittima del sentito dire, della mala informazione, della, ahimè, cattiva comprensione. Ed allora fiumi di parole, di ragionamenti, di precetti, di consigli su argomenti a volte estremamente rilevanti e di considerevole peso sociale giungono da persone non qualificate, non esperte, ignoranti, intendendo tale termine nell'accezione sua propria, ossia di chi ignora, è privo di cognizioni, non sa, o sa cose diverse dal vero. Chi legge non ha la possibilità di disciplinare la fonte, processo che peraltro sarebbe di piena competenza di chi scrive, così come recitava un tempo il manuale del buon redattore che veniva presentato come vangelo ai giornalisti novizi e tirocinanti. Ed allora nel coacervo dei fatti portati a conoscenza da chi posta in piena ed incontrollata libertà di espressione si fa fatica a distinguere il vero dal falso, il bianco dal nero, il plausibile dall'inattendibile. Per scrivere su un giornale occorre essere iscritti all' Albo professionale. Questo salvaguarda i lettori e garantisce il filtro delle notizie, l'accurata cura delle fonti, in una parola la bontà dell'informazione. Tra qualche tempo sarà probabilmente necessario richiedere a chi interviene sui social una formazione abilitativa alla trattazione degli argomenti sui quali si desidera discernere. Questo a beneficio di chi legge. Una sorta di patentino che renda idoneo chi posta a trattare lo specifico argomento sul quale intende intrattenere i lettori. Speriamo che sia così. Ma prima che ciò accada (se mai accadrà), sarebbe opportuno che ognuno facesse un auto esame delle proprie cognizioni e delle proprie conoscenze prima di sentenziare pubblicamente su argomenti che non conosce. Lasciamo che i medici scrivano di medicina, gli avvocati di giurisprudenza, gli architetti di progetti e piani regolatori, i musicisti di musica e via cantando. Avere la possibilità di scrivere per tutti non significa essere in grado di scrivere per tutti. Ciascuno abbia il pudore di trattenere i propri istinti letterari. E già che ci siamo lo faccia in piena regola, rispettando le norme grammaticali, la sintassi, la consecutio temporum, le concordanze e quant'altro possa occorrere per recuperare la bistrattatissima lingua italiana che dalla incontrollata pubblicazione opera di vandali del web esce vilipesa ed umiliata. E' vero che al karaoke possono cantare tutti, ma è anche vero che non tutti si ascoltano volentieri...

sabato 16 gennaio 2021

ANTICHI GIOCHI DI STRADA : "STAZZE" E "SBARRELLA"

Quando non si organizzavano incontri di calcio in via Quarnaro, si giocava a "stazze". Non ho riferimenti per poter ricostruire l'origine storica di questo gioco di strada, sicuramente di epoca molto lontana nel tempo. Certo è che richiedeva non poca abilità, abbastanza simile a quella che occorre per giocare a bocce, ed una buona precisione nel lancio della "stazza", un piccolo mattone, o una pietra di forma simile, del cui reperimento ciascun concorrente era direttamente incaricato, magari andando a cercare tra i sassi del fiume, o in campagna, o tra i materiali residui dei cantieri edilizi. Il campo di gara era sempre la strada. Bastava che uno solo del nostro gruppo si presentasse con il suo mattoncino o con una pietra similare in mano per capire che chi avesse voluto trascorrere lì il pomeriggio avrebbe dovuto attrezzarsi di conseguenza. Così a poco a poco arrivavano gli altri, ognuno con la sua stazza, reperita nelle vicinanze, o magari custodita a casa dopo la gara precedente. Ciascuno poneva in gioco un mazzetto di figurine di calciatori. In genere una decina a testa. Il pacchetto veniva posto su una pietra più grande collocata una decina di metri più avanti dei concorrenti. Poi, a turno, dopo la conta che doveva stabilire l'ordine progressivo dei giocatori, uno alla volta, potendo compiere non più di tre passi in avanti, si iniziava a lanciare la propria stazza in direzione del bersaglio. Bisognava ovviamente colpirlo. Quindi si andava a vedere quante figurine erano finite vicino alla stazza lanciata. Quelle diventavano di proprietà del vincitore. Nascevano ovviamente diverbi, discussioni, vivaci contestazioni, piccole e grandi zuffe... Argomento del contendere era spesso l'opinabile distanza di qualche figurina dalla stazza, per cui era necessario ricorrere ad un sistema di misurazione rudimentale ed approssimativo, servendosi spesso di una stecchetta di legno reperita nei paraggi, mai perfettamente diritta, e quindi causa di ulteriori polemiche. Di solito il gioco finiva in modo naturale perchè qualcuno non aveva più figurine in tasca, o perchè, sentendosi ingiustamente defraudato, abbandonava la tenzone e se ne tornava a casa senza salutare nessuno. Ma tutti sapevano che il giorno dopo sarebbe tornato lì alla stessa ora con la stazza in mano.... Altre volte si giocava a "sbarrella". Uno dei partecipanti, scelto col solito sistema della conta, si appoggiava ad un muro, con la schiena piegata in avanti, in modo da poter accogliere in groppa il primo saltatore che doveva finirgli sopra e resistere senza cadere anche dopo l'arrivo del secondo concorrente, e poi del terzo, e così via, fino alla fine dei partecipanti al gioco. Nel momento in cui il "sostegno" cominciava a cedere e a non sopportare più il peso di coloro che via via gli finivano sopra, era costretto a chiamare "sbarrella", una sorta di pubblica resa, e ad ammettere quindi senza scampo di avere la schiena a pezzi e di non essere più in grado di sostenere il peso. E non era tanto il pegno da pagare a rappresentare un problema, ma il fatto di dover riconoscere la propria debolezza e di essere quindi additato, bonariamente ma non troppo, al ludibrio di tutti... (brano tratto dal libro "Abitavamo in via Quarnaro" (Ed.Evoè 2014)