lunedì 28 marzo 2011

COME NACQUE IL TENNIS A GIULIANOVA
Era un tennis pionieristico, contava non più di dieci adepti, una sorta di ritrovo tra amici per praticare uno sport ai più non conosciuto, del quale si sentiva parlare come di un curioso nuovo modo di giocare, servendosi di uno strano aggeggio in legno e di alcune palle pelose. Una forma inconsueta di svago, riservata a pochi.  E quei pochi, muniti di tanta buona lena e di primitiva passione, mettevano in piedi una vecchia rete di pescatori sorretta da due pali e su un improvvisato campo non delimitato da linee né da spazi, inventavano le prime partite della storia tennistica cittadina.
Accadeva a Giulianova nell’immediato dopoguerra, quando il boom economico  cominciava a trapelare e le ragazze avvolte in fascinose gonne strette e in stretti corsetti a pois salivano in modo civettuolo sul sedile posteriore della Vespa o sulle seicento con gli sportelli a vento…
Così, a poco poco, prendeva forma un embrione inconsueto, uno sport individuale fatto di cortesia e di bon ton, assai diverso dal dilagante calcio già allora violento e maleducato. E in questa evidente antitesi trovavano facile spazio le sprezzanti ironie di coloro che il tennis ritenevano sport di femminucce, non destinato ad avere futuro al di fuori di quel ristretto numero di audaci pionieri, vittime essi stessi di una timida moda proveniente chissà da dove. Ma furono costoro non credibili profeti, se è vero che, di lì a breve, quel curioso modo di “giocare a tamburello” avrebbe avuto un suo dignitoso riconoscimento ufficiale. Anche a Giulianova. Sorsero allora i primi due campi, presso l’indimenticabile Golf Garden Bar del Lungomare Spalato, gestiti dall’allora imperante Azienda di Soggiorno e Turismo. Iniziava una nuova era.
Il numero dei praticanti crebbe in breve a dismisura. Non v’era Circolo, ma si svolgevano regolari “tornei sociali” nei quali primeggiarono per lungo tempo gli stessi nomi. Finale di rito Franco Croci- Umberto Giovagnoli, gli altri Tonino Albini, Carlo Bellocchio, Vincenzo Monina, Titì Orsini, Iwan Costantini, Giovanni Di Giovanni, Tancredi Ricchi D’Andrea . Questi furono i primi Poi a poco a poco nomi nuovi, attratti da quel mondo magico che andava  arricchendosi di episodi e di fatterelli, di dispute sornione e dei primi sfottò.
Si giocava spesso un doppio d’elite la domenica alle ore dodici, sotto il sole d’aprile, ed essere convocato lì, per i nuovi adepti, ai quali chi scrive all’epoca si unì, era dono indicibile.  Entrare in quel giro significava il riconoscimento ufficiale delle proprie capacità da parte di un collegio di santoni che apparivano come depositari delle verità tennistiche di allora. E molti a poco a poco furono “canonizzati”: i fratelli Sergio e Danilo Di Diodoro, Marcello Ferrari, Toni Sorgi, Lucio Spinozzi, Marcello Ciprietti, Battista Di Bonaventura, Nando Cardamone, Gabriele Dell’Ovo, Claudio Ciacci, Mauro Pantaloni, poi Gianfranco Falini, Enrico Robuffo, Nino Rastelli, il compianto Alfredo Cordoni, Sabatino………, Ludovico, Carlo e Umberto Raimondi, Rizzardo Costantini, Marco Monina,e tra le donne Luisa De Santis, Loredana Nazziconi, Valeria Di Pietrangelo, Elisa Strozzieri, Emma ed Emilia Solipaca.
Poi venne un uomo e qualcosa cambiò radicalmente. Giacomo Canini, romano, personaggio indimenticabile che amò il tennis oltre ogni misura, pose la prima pietra e gettò le basi di un progetto che all’epoca parve a molti esagerato.
Dai suoi primi e inevitabilmente incerti tentativi, da una traballante macchina cigolante, impacciata e goffa, sarebbe scaturita l’intera storia del Circolo tennis Giulianova , la prima sgangherata sede sociale, il primo banale giornalino, il primo torneo con tanto di giudice di sedia, giudici di linea e raccattapalle, la prima embrionale scuola tennis affidata a volontari e improvvisati “maestri” reclutati tra i più assidui frequentatori del Golf Bar.
Nel suo incerto procedere il timido sodalizio, cui non era ancora conferito crisma di ufficialità, muoveva i primi passi, tra un torneo e l’altro.
Famosi i “gialli” di allora che regalarono alla storia del tennis giuliese personaggi mai dimenticati, il tassista romano Gramiccia, il tedesco “crande Peppe”, e poi prodotti locali che nei gialli imperversavano, Paolo Vasanella, lo stesso presidente dell’AAST Claudio Posabella, Lino Coccia, il compianto Nino Marà, Paolo Gasparroni,  Raffaele Piccinini, Alessandro Pennesi, cui si univano anche racchette provenienti da fuori confine come Danilo e Riccardo Lucantoni di Teramo, …………………
Non meno famosa fu anche la prima e unica edizione della “Coppa di legno”, sorta, come un antipapa, in antitesi alla manifestazione dei “guru”del tempo….
Costruite queste prime fragili basi si cominciò a vivere con assidua quotidianità all’interno di un ambiente sempre più familiare, nel quale aveva un suo ruolo di ben definito protagonista il buon Domenico, custode tuttofare, giardiniere, segretario, operaio, tecnico della terra rossa, cliente non occasionale dei vicini bar e onnipresente nella spensierata vita del nascente sodalizio.
Presto i tempi furono maturi per un radicale mutamento. Dal pionieristico avvio ci si incamminò per un nuovo sentiero più professionale. Il Circolo assumeva una sua precisa fisionomia ed una sua identità fornendosi di un regolare Statuto, dell’auspicata affiliazione alla FIT,  di un Presidente, di consiglieri, di un regolamento sociale. Nel 1974 arrivò il primo torneo regolarmente riconosciuto dalla Federazione, sul campo 1, doveroso tangibile omaggio alla dedizione e alla perseveranza di chi aveva sempre fermamente creduto nell’avverarsi di un sogno.
Gli anni che seguirono,  il  successivo trasferimento presso i campi di via Ippodromo, la tormentata sequenza dei vari presidenti e dirigenti è storia dei nostri giorni. Le sorti del Circolo tennis di Giulianova, ancorchè ufficialmente affidate a  un ristretto numero di governanti sono oggi, in realtà, nella mani di tutti. Di tutti coloro che hanno amato ed amano questo sport, che lo praticano per diletto, per divertimento, per desiderio di stare insieme agli altri in un ambiente sano e sereno

mercoledì 9 marzo 2011

ALFONSO DELLA BATTAGLIA – CHI ERA DAVVERO?


Il lungo silenzio del mio amico ricercatore ha alimentato in me la speranza che potessero arrivare, dopo così lunga pausa, notizie estremamente interessanti con riferimento al suo certosino lavoro di indagine nei meandri della storia.
L’attesa, in effetti, non è stata vana. Mi giunge, assai gradito, questo incredibile aggiornamento, frutto di un lavoro condotto con tanta passione e con estrema puntigliosità. Che dire delle suggestive supposizioni e delle temerarie congetture di questo pertinace studioso, egli stesso così sconvolto dalla  sconcertante rilevanza del materiale in suo possesso?
Così mi scrive:                         

Caro Sergio,

e' da tanto che non hai mie notizie, da quando, lasciata Washington, sono tornato in Europa sulle orme di Alfonso Di Battaglia. La ricerca non e' stata vana. Al Museo Borbonico di Napoli ho trovato, non senza fatiche, una copia fotostatica della Domenica del Corriere che ti invierò per posta. Il servizio giornalistico, datato 1901, parla di un personaggio poco  noto agli storici del tempo, e in effetti poco noto al giornalista stesso se e' vero, come leggo, che lo descrive solo come "un connazionale degli Abruzzi". Riporto integralmente il pezzo:

"Nelle vallate degli Abruzzi, vicino Teramo pare sia nato un personaggio tanto influente per la storia del nostro tempo quanto nascosto agli occhi della folla.
Questo nostro connazionale, amico di Garibaldi, l'eroe dei due mondi, fu spedito dallo stesso negli Stati Uniti  per dar man forte alla nascente democrazia. Comandante in capo delle truppe nordiste, pare abbia inflitto numerosi colpi alle forze schiaviste. Molti dei suoi successi furono attribuiti al generale Grant, che da allora si fregio' dell'amicizia dell'uomo. Tanto schivo che non conosciamo il suo vero nome: alcuni lo chiamano "l'italiano  battagliero", altri "Alfonso della battaglia" con riferimento si pensa alla battaglia di Pittsburgh nella cui piazza centrale si erge maestosa l'immagine, pare, del nostro condottiero confratello.
Uomo schivo ma efficace pare sia stato lui a scrivere di suo pugno il XIII emendamento della Costituzione Americana, che passo' al suo intimo Abramo Lincoln. Al funerale del grande Presidente pare fosse l'unico borghese portatore di bara. Chi sei tu dunque o famoso sconosciuto? Dove ti aggiri a manovrare le leve del mondo?

Caro Sergio, capisci l'enormità delle evoluzioni cui dobbiamo testimoniare al mondo intero. Tu, che indomito e indurito sotto lo sciabordare dei flutti oceanici, navighi solitario come un novello Ulisse verso il colle della Verità, tu che mi pregasti di non desistere e continuare imperterrito ed imperituro, a svelare questo curioso personaggio che oggi si rivela il più grande dei grandi, che ha plasmato con le sue mani, nascosto al mondo ed alla folla urlante, un secolo di storia di questo misero mondo, tu o Sergio diffondi questa mia.
La storia non finisce qui. Alfonsino Di Battaglia torna in Europa. Fitte nebbie avvolgono ancora alcuni decenni della sua vita. Sappiamo pero' che fu una figura centrale nella disfatta di Caporetto e soprattutto nell'offensiva del Piave.
Dal diario di guerra del Tenente Bianchin dell'artiglieria del XXX Corpo d'Armata:

"Da qualche giorno si sente un sollievo, voglia di vivere e pugnare. Un distinto vecchio di aggira tra le nostre fila, insieme a colonnelli e generali, senz'altro esperto di cose di guerra. Lo dicono amico di Diaz. Lo dicono amico dell'Eroe. Sfoggia una camicia rossa che ci infonde coraggio. Non parla un ottima lingua ma si fa capire."

Il caporale Chiminghi del IV Corpo della IX Armata schierata sul piano e' meno poetico:

"Questo vecchio ci tiro' giù dalle brande ed imprecando “Porc********, Porc******, urlava come un ossesso: all'attacco, NON PASSA LO STRANIERO!!!!!".

Erano le 3 del mattino del 24 ottobre 1918, l'offensiva del Piave era iniziata. Proprio in corrispondenza di quei posti trovate ancora oggi una statua di bronzo che ritrae un ardimentoso vecchio, molto simile nelle fattezze al vigoroso soldato di Pittsburgh.
Queste sono solo tessere di un puzzle molto più esteso le cui propaggini ancora non afferro del tutto.
Ti lascio con due quesiti:
Chi accese la miccia della rivoluzione russa del '17?
Nel periodo di amicizia col Gen. Graziani, in Libia, cosa ando' a fare?
Può darsi che fosse un  personaggio destinato a diventare un ….nonno famoso???
(Non oso scrivere di chi, aspetto ulteriori conferme….)

Ti saluto