venerdì 20 aprile 2018

DI ALCUNE GIOVANILI EROICHE IMPRESE DI ANDREA MATTEO III DEGLI ACQUAVIVA, UOMO D’ARMI E DI CULTURA Pagine di storia dagli “Studi storici archeologici ed artistici” del prof. Vincenzo Bindi”

Brano pubblicato sull'Annuario "Madonna dello Splendore" n. 37 del 20 aprile 2018

Per molti secoli e per tante successive generazioni la dinastia degli Acquaviva annoverò tra i suoi insigni discendenti uomini e personaggi illustri i quali concorsero, in un modo o nell’altro, a conferire lustro al casato, in ambiti vari e tra loro diversi.
Valore in battaglia, ingegno, virtù, cultura, coraggio e tanto ardimento posti al servizio di una costante determinazione furono elementi che caratterizzarono, ciascuno nel suo campo, quasi  tutti i componenti familiari, tempo per tempo.
Nel secolo XI Alberico monaco di Cassino ebbe gloria tra i contemporanei per aver in prima persona confutato le eresie di Berengario, accogliendo le tesi di Lanfranco di Canterbury, abate del monastero di Le Bec in Normandia e futuro arcivescovo di Canterbury. Lo stesso Alberico avrebbe composto un’importante opera di musica sacra, prezioso testo che purtroppo non è giunto fino a noi, ma la cui esistenza è testimoniata da attendibili documenti dell’epoca. Scrittore fecondo, molto colto ed autore di pregiate opere di carattere ecclesiastico fu pure Roberto di Acquaviva che ebbe larga fama tra i contemporanei intorno al 1280 per la sua copiosa produzione di scritti, tra i quali un rinomato “De fato et Fortuna”, in due libri, probabilmente una sorta di trattato escatologico.
Berardo di Acquaviva fu per quasi venti anni (dal 1356 al 1373) Gran Priore del Priorato di San Giovanni Gerosolimitano di Capua.
Antonio Acquaviva nel 1390, quando Luigi II D'Angiò sbarcò a Napoli per opporsi a Ladislao II, figlio di Carlo III, approfittò della guerra che si stava combattendo per introdursi a Teramo e conquistarne il territorio giungendo a ricomprendervi anche il ducato di Atri. Nominato vicario generale della Chiesa per il territorio di Offida nella diocesi di Ascoli, morì qualche anno dopo.
Sono solo alcuni esempi ed alcuni nomi tra quelli che in epoche diverse arrecarono splendore e gloria al casato. Altri personaggi si distinsero in modo meno eclatante e per opere di minore importanza senza pertanto lasciare indelebile ricordo delle loro gesta  e delle loro opere nella gloriosa stirpe degli Acquaviva.
Quest’ultima conobbe in realtà il vero periodo di massimo splendore a far tempo dal secolo XV.
 Capacità non comuni, acume, intelligenza, valore ed ingegno furono doni della natura che confluirono tutti, durante la giovinezza, nella persona di Andrea Matteo III, VII Duca di Atri, (VIII secondo alcuni storici, non pochi in verità), figura al centro di questo lavoro di ricerca condotto alla luce di un  Saggio del prof. Vincenzo Bindi, dato alle stampe a Napoli nel 1881 ed incentrato su studi e ricerche dedicate alla storia di Castel San Flaviano ed agli “Acquaviva letterati”.
Andrea Matteo, figlio di Giuliantonio,  è personaggio discusso e controverso, non fosse altro che per quanto attiene alle dispute relative all’anno della sua nascita, ma soprattutto per quanto riguarda la conseguente contrastata questione della sua primogenitura. I due argomenti hanno per lungo tempo interessato storici e studiosi, atteso che fare luce sulla querelle anagrafica avrebbe consentito di saperne di più sul nebuloso argomento relativo alla concessione di titoli e privilegi concessi al primo nato in famiglia e, a quanto pare, non legittimamente conferiti a suo tempo ad Andrea Matteo.
 Per tale ragione in passato furono avanzate più o meno credibili supposizioni, basate comunque su attente ricerche, che andavano spesso e sovvertire  precedenti certezze relative all’anno di nascita di Andrea Matteo.  L’illustre rampollo degli Acquaviva sarebbe nato verosimilmente tra il 1456 ed il 1458, ma lo scarto temporale, quantunque minimo, risulta determinante, soprattutto alla luce di successivi privilegi e titoli onorifici riservati al primogenito del casato  e che in realtà furono assegnati non a lui ma al fratello Giovanni Antonio.
La collocazione della nascita di Andrea Matteo nell’anno 1456 è tesi che fu sostenuta (cfr. Giovio e Mazzucchelli) sulla base del fatto che egli sarebbe morto nel 1528 (ma per altri 1529) all’età di anni 72, caduto in battaglia a Conversano : “Fato functus est ad Conversanum, Bario finitimum, septuagesimo secundo aetatis anno, quum Lotrechii Galli infelicibus armis Apulia quateretur.” (P. Giovio – Elogia)
Con processo inverso, e  ponendo invece nel 1529 la data della morte, Eustachio D’Afflitto colloca l’anno di nascita nel 1457. A rendere più ingarbugliata la matassa devono aggiungersi svariate notizie fornite da altri scrittori e storici, primo fra tutti Baldassare Storace ed altri suoi seguaci, che pur tacendo in merito all’anno di nascita di Andrea Matteo, ne parlano genericamente come figlio primogenito del Conte Giuliantonio Acquaviva di Conversano, eludendo  e bypassando ogni possibile dubbio ed ogni diatriba relativa alla collocazione temporale della sua venuta al mondo.
Vincenzo Bindi fa esplicito riferimento alla  consultazione diretta dell’Archivio di Atri, ma anche  all’esame dei manoscritti del dott. Nicola Sorricchio (Atri 1710-1785) il quale, quale segretario ed avvocato della famiglia ducale aveva libero accesso a tutti i documenti pubblici e privati della città ed aveva avuto l’opportunità di consultare in modo minuzioso anche gli archivi di Giulianova e di Napoli, primo fra tutti quello davvero imponente degli Acquaviva.


Il lavoro di analisi delle varie testimonianze appartenenti alla famiglia ducale aveva quindi permesso al Sorricchio di  ricostruire in modo capillare la storia della città di Atri ma, nel contempo,  anche di fare luce sulla genealogia del casato degli Acquaviva, fornendo su di esso preziose notizie e  particolari inediti. Notizie tanto preziose da autorizzare il prof. Bindi a sciogliere ogni riserva in merito alle incertezze che ne avevano fino a quel momento caratterizzato alcuni momenti della storia: “ siamo lieti davvero di potere qui, per la prima volta, pubblicare alcuni documenti importantissimi, i quali varranno a correggere gli errori di quasi tutti gli istorici che ci hanno preceduto, e mettere in chiaro l’anno preciso della nascita dell’uomo insigne (Andrea Matteo Acquaviva ndr) del quale ragioniamo”.
Così nel saggio dello storico giuliese si legge che dal matrimonio tra Giuliantonio Acquaviva e Caterina Orsini Del Balzo, figlia naturale di Giovanni Antonio Orsini Del Balzo Principe di Taranto e Contessa di Conversano, avvenuto in data 11 aprile  1456, furono generati, nell’ordine,  Giovanni Antonio, nel 1457  ed Andrea Matteo nel 1458. Stando così le cose ben si comprende perché Andrea Matteo non avrebbe goduto dei diritti della primogenitura. In realtà, sempre secondo quanto si evince dalla lettura del testo, il Conte Giuliantonio in prime nozze avrebbe sposato La figlia del Duca di Montorio, Jacobuccia de Camponeschi , “particolarità sfuggita a tutti gli scrittori delle cose acquaviviane “ e solo in seconde nozze, dalla moglie Caterina avrebbe avuto, come si è detto, i due figli Giovanni Antonio ed Andrea Matteo.
Una volta fatta luce sulla questione della primogenitura è agevole comprendere il motivo per cui ad Andrea Matteo non andò il titolo di Conte di Conversano, “solito ad essere concesso ai primogeniti”, ma piuttosto quello di Marchese di Bitonto. A riprova della sua tesi il prof. Bindi cita alcuni importanti documenti dell’anno 1467 che avrebbero dovuto rappresentare prove inconfutabili a sostegno di quanto andava affermando. Documenti, però, che già all’epoca della stesura del saggio non esistevano più: “Le notizie il Sorricchio le tolse da alcune carte esistenti nell’Archivio di Giulianova, da lui copiate, documenti importantissimi, irrimediabilmente perduti, perché distrutti ai tempi dell’occupazione francese”.
Largo spazio viene quindi concesso nel Saggio in parola alla figura di Andrea Matteo che sposò in prime nozze Isabella Todeschini Piccolomini d'Aragona figlia di Antonio I duca di Amalfi e conte di Celano e, successivamente, rimasto vedovo, in seconde nozze, nel 1509,  Caterina Della Ratta.
Duca d'Atri (dal 1481) e conte di Giulia (ma poi anche di Conversano, dopo la morte del fratello Giovanni Antonio scomparso nel 1479 a soli 22 anni) Andrea Matteo III fu così uno dei feudatari più ricchi e potenti del regno. Bindi lo annovera tra i discendenti del casato che “ tra lo splendore della ricchezza e del potere, non dimenticarono il culto santissimo delle scienze e delle lettere, e spesero valevolmente la vita, l’opera e l’ingegno ad incoraggiare e proteggere i buoni studi, ed all’incremento di ogni nobile e gentile disciplina …”.
Oltre che come ardito combattente Andrea Matteo si distinse anche come illustre letterato e, come del resto altri personaggi del casato,  fece parte della schiera di coloro che “nel campo delle lettere tennero i supremi onori, e vissero amati e rispettati dagli uomini più insigni dei loro tempi…”
Purtroppo, però, molte opere letterarie  degli Acquaviva erano già al tempo del Bindi pressochè introvabili, anche per via del fatto che quasi tutti gli  archivi che riguardavano la città di Atri, e di conseguenza la famiglia degli Acquaviva, andarono più di una volta dati alle fiamme e distrutti.
La lettura del testo assume ancor più valore se si tiene conto dei continui riferimenti dell’autore alla ricerca attenta delle fonti alle quali attingere ed al ripetuto richiamo alla difficoltà di reperimento di “libri scritti e pubblicati dagli Acquaviva ” dai quali poter trarre notizie storiche certe : “ nelle pubbliche e nelle private biblioteche, e presso coloro che fanno raccolta di libri preziosi e rari, le opere letterarie, di scienza politica, di morale e di religione, scritte nelle varie epoche dagli Acquaviva, son divenute oramai estremamente rare e spesso le ricerche più diligenti risultano infruttuose…”
Pur nella difficoltà della ricerca delle fonti ed a fronte della loro riferita contraddittorietà la figura di Andrea Matteo viene presentata nel saggio del Bindi come quella di un personaggio eroico, insigne letterato ma al tempo stesso audace e coraggioso combattente.
Impavido ed intrepido il giovane Andrea impugnò le armi fin da giovanissimo, combattendo a fianco del padre nelle guerre sul territorio italiano e mostrando tanto valore in battaglia da meritare la prestigiosa qualifica conferitagli da Ferrante d’Aragona che lo definì “suo alunno ed illustre guerriero”. Per ardimento e temerarietà superava ogni  compagno d’armi tanto da meritare, per le sue gesta,  premi di grande importanza, primo fra i quali, senza dubbio,  quello di ottenere in sposa Isabella Piccolomini d’Aragona,  nata dal matrimonio tra Antonio Duca di Amalfi e e Maria figlia di  Re Ferrante. L’importante privilegio costituì l’ufficiale riconoscimento per le sue gesta in armi nel territorio di Fano, a fianco di Costanzo Sforza, signore di Pesaro, che combatteva contro Girolamo Riardo, nipote di Sisto IV.
 Il luogo in cui furono sottoscritti i “capitoli matrimoniali”  rappresenta altro motivo di polemica tra il Bindi e lo Storace, colpevole, secondo lo storico giuliese, di “accumulare nella sua storia menzogne ed errori, adulazioni ad adulazioni”.
 A detta dello Storace i documenti sarebbero stati sottoscritti a Fano dove, in realtà, si trovava Andrea Matteo il 16 aprile 1480, data del matrimonio. Ma il Bindi rileva che l’importante atto ufficiale fu invece siglato a Castel Nuovo dallo stesso Re Ferrante e da Angelo di Durante, al quale era stata conferita specifica delega “come procuratore e per mandato espresso” per poter ratificare l’atto di unione in vece dello sposo Andrea Matteo.
Le valorose imprese di quest’ultimo continuarono per lungo tempo anche dopo il matrimonio.
Nel 1485 secondo le cronache, (ma il Bindi corregge anche qui la data anteponendola al 1482 ) con il grado di luogotenente curò la difesa delle province di Otranto e di Bari combattendo contro i Veneziani a fianco del Duca di Calabria. Anche questa volta si distinse per eroismo ed audacia tanto che Re Ferrante si sentì in dovere di promettergli nuovamente  tangibili riconoscimenti, arrivando a prospettare come premio per le sue gesta in armi niente meno che la restituzione della città di Teramo la quale in passato era stata tolta ai suoi avi. Questa ambita ricompensa, in verità, non fu mai concretizzata e l’impegno fu disatteso, anche se per tener fede comunque, in qualche modo, all’impegno assunto, il Re in data  26 maggio 1484 con atto ufficiale decretò che “Andrea Acquaviva, Duca di Atri, Marchese di Bitonto e Conte di Conversano, come parente e figlio dilettissimo, sia da tutti riconosciuto quale Governatore e Preside  di Terra di Otranto e Terra di Bari , coll’onnimoda potestà ed alla stessa manera come s’egli fosse il Re…”. Questo incarico, quantunque prestigioso,  avrebbe gravato Andrea di non poche responsabilità, ben paragonabili a quelle di chi comanda e governa i propri sudditi, impegnandolo a  provvedere a “ tenere le marine di quelle province in bono stato, al fine di non essere inquietate dai barbari, ponendo ed accomodando i presidi, amministrando la giustizia a chiunque…”
Sicuramente un mandato che attestava quanta fiducia il re potesse riservare al genero, al quale inviava continue conferme della propria stima  vivete contento che, mediante lo grande amore che sempre vi ho portato e vi porto, e le virtù vostre, sempre faremo cosa che vi piacerà
Ma qualcosa non girò per il giusto verso se è vero, come è vero, che la promessa di restituire Teramo tardava ad essere mantenuta e ciò rattristava più del dovuto l’animo di Matteo. A questo si aggiungeva il rapporto sempre meno idilliaco con il cognato Alfonso, duca di Calabria e figlio di Ferrante, assai geloso “degli onori tributati all’Acquaviva, il quale era tenuto in tanta riputazione nella corte, da essere considerato quasi un secondo sovrano”.  Queste, e forse più oscure motivazioni, finirono per convincere Matteo a fiancheggiare “col consiglio e con le armi”  la congiura ordita dai Baroni Napoletani per spodestare Re Ferrante d’Aragona.
Le pagine di storia che seguono rappresentano un fulgido esempio di stima e di amore paterno nei confronti di Andrea Matteo da parte del suocero, il quale davvero lo amò come fosse suo figlio e davvero ne riconobbe le doti di rettitudine morale pur nel marasma che seguì al momento della congiura e che caratterizzò uno degli “episodi più lugubri della storia degli ultimi anni del dominio Aragonese in Napoli”.
Fu in effetti grande conflitto tra tutti coloro che avevano aderito al progetto di spodestare Re Ferrante ed il suo figliolo Alfonso, offrendo la corona a Federico, secondogenito del Re, il quale era visto e considerato da tutti in modo ben diverso : ” con l’equità, modestia et humanità procurava le gratie et il favore delli huomini…”
Ministri, segretari, generali, baroni, tutti in un modo o nell’altro presero parte alla congiura che ebbe esito infelicissimo a tragico per molti di loro. Alla scoperta della cospirazione, infatti, seguirono terribili pene capitali: “ … alcuni furono presi e martoriati, altri morirono di capestro, alcuni gittati in orrende prigioni, ed altri finalmente cacciati in bando dalla patria”. Andò in un certo senso meglio a coloro che furono catturati e sottoposti a processo perché, pur condannati quali “rei di lesa maestà ”,  ebbero tuttavia salva la vita, pur nella perenne esclusione da “tucte e quale si voglia dignità, tituli ed honori de contate, nobilitate, officii et cavalleria, e di quale si voglia gentilezza” . In pratica quella che oggi sarebbe un’interdizione dai pubblici uffici, e senza possibilità di deroga.  Agli stessi, tuttavia, sarebbe stato  riservato un “trattamento speciale” dopo la morte naturale: “ … li condemnemo in modo che perdano la testa, et loro capo sia detroncato da loro corpi, in modo che loro anima et de ciascuno de ipsi sia separata dal corpo…“
In questo clima di generale epurazione la figura di Andrea Matteo Acquaviva esce ancora una volta come quella di un figlio prediletto, che il Re nonostante tutto non si sente di condannare, non fosse altro che “ per i meriti personali e per le benemerenze  della casa Acquaviva verso gli Aragonesi…”.
Ma a maggiore discolpa del genero amatissimo in una lettera del luglio 1487 ne tesse addirittura le lodi, discolpandolo da ogni collusione con i congiurati “ …il Marchese di Bitonto, essendose deportato con fede ed integritate, et non volendo consentire con li predicti (i Baroni ribelli ndr) non è solamente preservato da tale detentione, ma tractato honorabilissimamente…”
Andrea Matteo aveva poco meno di trenta anni.

Il tempo che seguì fu per lui ancora costellato di immense fortune e di eccelsi onori, in campo letterario, negli affari dello Stato e ancor più nell’esercizio delle armi. Proprio come valoroso combattente  egli ebbe modo di confermare, tempo per tempo,  le sue doti di grande ed impavido guerriero.
La storia delle successive eroiche imprese post-giovanili Di Andrea Matteo III Acquaviva potrà costituire oggetto di ricerche e di analisi future,  in modo che possa essere meritatamente e globalmente rappresentata la figura di questo eminente personaggio della dinastia degli Acquaviva, insigne uomo di armi e di cultura.

Nota dell’autore:

Questa ricerca è stata condotta in relazione al saggio citato, valente opera del prof. Vincenzo Bindi ed alla luce delle notizie e  delle fonti riportate nel testo suddetto, ivi comprese dispute e diatribe insorte tra lo storico ed altri studiosi in merito ai diversi eventi ed alla loro collocazione temporale.
 Fatti ed avvenimenti risultano pertanto raccontati cristallizzando il lavoro di consultazione e di analisi all’epoca della pubblicazione della scrittura originale di riferimento, volutamente omettendo gli esiti di successive ricerche che potrebbero aver in seguito confutato quanto riportato ed aver fornito nuove e diverse conoscenze sull’argomento trattato.



Bibliografia:

- “ Castel San Flaviano – presso i Romani Castrum Novum e di alcuni monumenti di arte negli Abruzzi e segnatamente nel teramano- Studi storici archeologici ed artistici del prof. Vincenzo Bindi- Vol III- Napoli 1881
- “Scrittori d’Italia”. Art. Acquaviva. Giammaria Mazzucchelli – Brescia 1760. Vol. I
- “Istoria della Famiglia Acquaviva Reale d’Aragona”  Baldassare Storace - Roma 1738
- De gestis Regum Neapolitanorum ab Aragonia qui extant, libri quatuor. Albino Giovanni - Editorial: J.Gravier, Neapoli, 1769
- “Annali d’Italia  anno 1480 “- L.A.Muratori
-“Hatria-Atri”  L. Sorricchio Vol III –Parte I-
- “Annali Acquaviviani – N. Sorricchi
-“De gente Acquaviva Aragonia – Dissertatio historica, genealogica, cronologica et oratio panegirica- Roma 1732
- “Memorie degli scrittori del Regno di Napoli”  Eustachio D’Afflitto – Napoli 1782
- “Sulla nobilissima famiglia italiana degli Acquaviva “ A.C.De Bartolomei- Ascoli,  1840
- “L’Abruzzo nel Medioevo” – Autori vari - a cura di U. Russo ed E. Tiboni – 2003
“Raccolta di memorie istoriche delle tre province degli Abruzzi” A. L. Antinori – Napoli 1781

“Famiglie celebri italiane – Famiglia Acquaviva  F .Basadonna – Torino 1885

mercoledì 11 aprile 2018

"IL BANCHETTO" - Brano tratto dal racconto "Gli azzurri soffusi"

......In mezzo a tanta luce, tra questi suoni ovattati e dolcissimi, rivedo sopra un tavolo immenso la tovaglia a fiorellini rossi simile alle casacche che mia madre cuciva a me ed al fratello Dante, oggi non più capace di trascorrere un pomeriggio intero inventando vicende per l’eroe nostro preferito: il soldatino di piombo con il mitra e con l’elmetto.
 Intorno al tavolo prendono via via posto i convitati al banchetto. E’ un’armonia la fusione ritmica delle varie voci che si accavallano e scompaiono e poi tornano, tenui e poi forti, ora acute, ora basse, ora alternate dal rintocchi lenti dell’antico pendolo, come quelli delle campane del convento dove insieme, mamma, la domenica mattina ci recavamo con amabile consuetudine io, tu ed il fratello Dante. La folla dei commensali è sistemata intorno al tavolo con la tovaglia a fiorellini rossi.
Qui trascorriamo, rievocando il tempo. Provo a immaginare tra questa confusione gli anni andati e per sempre perduti:  tu vecchio zio, con i baffi che ti danno aspetto austero, e tu, amico mio inseparabile dei mattini d’estate al mare, e tu, madre, e tu, padre. Il tempo è trascorso con noi. Mi estranio a tratti dal convito e voi non vi avvedete di questo mio fuggire. Come ora. Vedo laggiù, nell’angolo sereno come sempre, ancora il volto di nonna Assunta. Sei sempre pronta, nonna, a perdonare le marachelle di un piccolo discolo cresciuto e diventato, oggi, un “grande”? Mi mostravi sovente le foto un po’ ingiallite del periodo della tua adolescenza, quando eri giovanetta e vestivi di azzurro. Mi parlavi con orgoglio dei tuoi vent’anni. Anch’io, oggi, ho subìto la stessa beffa.
Il mio rito inizia, come una favola moderna, da un’allegra tavolata, simile a quelle che a Pasqua e a Natale usavamo imbandire nella enorme sala di casa nostra. C’erano tutti: parenti e conoscenti. Ricordo che il mio viso riflesso nella superficie concava del cucchiaio, si deformava in mille modi diversi ed assumeva aspetti sempre più insoliti, quasi grotteschi; allungandosi e deturpandosi non si rifletteva la mia immagine reale, ma una immagine inconsueta, forse un simbolo del tempo che in modo non diverso ha alterato, allegri commensali, i vostri volti.
Tu moristi giovane, Nadia, e il tempo non ti offese; ma ora prima che il rito si compia, rivedo il tuo volto bianco e freddo che baciai per l’ultima volta, bagnandolo di lacrime, quell’incredibile giorno di tanto tempo fa. E’ ancora quell’espressione dolce e ingenua che ho davanti agli occhi e non quella della ragazza in grembiule nero lucido che vedevo ogni mattina nel cortile della scuola.
Tra tanta confusione, frattanto, ritornano, come echi lontani, le note antiche e remote dei violini, il canto sublime dei flauti, il dolce richiamo dell’arpa. Si odono armonie indistinte eppure sapientemente fuse in un crescendo singolare.
Avverto palpiti misteriosi. In una rapidissima successione particolari del mio passato si accavallano e si ripropongono come giammai trascorsi, ma sempre vivi in parti recondite della mente. Nostalgie, malinconie, rimpianti, dolori antichi che mi turbano e sconvolgono ancora. E’ un’apoteosi. Respiro ancora a fatica come quando udivo dalla finestra della mia cameretta la pioggia picchiettare sulle pozzanghere con monotonia: poi d’improvviso vi guardo nel volto, amici commensali, con insolita serenità, come avessi raggiunto uno stato ideale di pace. Senza più turbamento, ad un tratto, siedo anch’io con voi a tavola, dove sedevi tu, padre, quando la sera tornavi dal lavoro. La stessa musica si fa più tenue e si ode appena.
Lo sfondo dell’immagine è soffuso di azzurro come la veste di nonna Assunta giovinetta. Con rinnovata tranquillità ho il coraggio di guardarvi in viso e, per mirabile incanto, ho la certezza che non trascorrerete. Il tuo volto, Nadia, non è quello che vidi prima. Ora sei sbarazzina e ingenua come nel giorni di scuola ed oso guardarti negli occhi perché il tempo non saprà ferirti. Le prime rughe del tuo volto, mamma, non mi incutono più angoscia, esse appaiono come i tocchi sapienti del pittore romantico: un quadro bellissimo, che non potrà più divenire, ma che la mente serberà tra i suoi possessi con ostentato orgoglio...