mercoledì 11 aprile 2018

"IL BANCHETTO" - Brano tratto dal racconto "Gli azzurri soffusi"

......In mezzo a tanta luce, tra questi suoni ovattati e dolcissimi, rivedo sopra un tavolo immenso la tovaglia a fiorellini rossi simile alle casacche che mia madre cuciva a me ed al fratello Dante, oggi non più capace di trascorrere un pomeriggio intero inventando vicende per l’eroe nostro preferito: il soldatino di piombo con il mitra e con l’elmetto.
 Intorno al tavolo prendono via via posto i convitati al banchetto. E’ un’armonia la fusione ritmica delle varie voci che si accavallano e scompaiono e poi tornano, tenui e poi forti, ora acute, ora basse, ora alternate dal rintocchi lenti dell’antico pendolo, come quelli delle campane del convento dove insieme, mamma, la domenica mattina ci recavamo con amabile consuetudine io, tu ed il fratello Dante. La folla dei commensali è sistemata intorno al tavolo con la tovaglia a fiorellini rossi.
Qui trascorriamo, rievocando il tempo. Provo a immaginare tra questa confusione gli anni andati e per sempre perduti:  tu vecchio zio, con i baffi che ti danno aspetto austero, e tu, amico mio inseparabile dei mattini d’estate al mare, e tu, madre, e tu, padre. Il tempo è trascorso con noi. Mi estranio a tratti dal convito e voi non vi avvedete di questo mio fuggire. Come ora. Vedo laggiù, nell’angolo sereno come sempre, ancora il volto di nonna Assunta. Sei sempre pronta, nonna, a perdonare le marachelle di un piccolo discolo cresciuto e diventato, oggi, un “grande”? Mi mostravi sovente le foto un po’ ingiallite del periodo della tua adolescenza, quando eri giovanetta e vestivi di azzurro. Mi parlavi con orgoglio dei tuoi vent’anni. Anch’io, oggi, ho subìto la stessa beffa.
Il mio rito inizia, come una favola moderna, da un’allegra tavolata, simile a quelle che a Pasqua e a Natale usavamo imbandire nella enorme sala di casa nostra. C’erano tutti: parenti e conoscenti. Ricordo che il mio viso riflesso nella superficie concava del cucchiaio, si deformava in mille modi diversi ed assumeva aspetti sempre più insoliti, quasi grotteschi; allungandosi e deturpandosi non si rifletteva la mia immagine reale, ma una immagine inconsueta, forse un simbolo del tempo che in modo non diverso ha alterato, allegri commensali, i vostri volti.
Tu moristi giovane, Nadia, e il tempo non ti offese; ma ora prima che il rito si compia, rivedo il tuo volto bianco e freddo che baciai per l’ultima volta, bagnandolo di lacrime, quell’incredibile giorno di tanto tempo fa. E’ ancora quell’espressione dolce e ingenua che ho davanti agli occhi e non quella della ragazza in grembiule nero lucido che vedevo ogni mattina nel cortile della scuola.
Tra tanta confusione, frattanto, ritornano, come echi lontani, le note antiche e remote dei violini, il canto sublime dei flauti, il dolce richiamo dell’arpa. Si odono armonie indistinte eppure sapientemente fuse in un crescendo singolare.
Avverto palpiti misteriosi. In una rapidissima successione particolari del mio passato si accavallano e si ripropongono come giammai trascorsi, ma sempre vivi in parti recondite della mente. Nostalgie, malinconie, rimpianti, dolori antichi che mi turbano e sconvolgono ancora. E’ un’apoteosi. Respiro ancora a fatica come quando udivo dalla finestra della mia cameretta la pioggia picchiettare sulle pozzanghere con monotonia: poi d’improvviso vi guardo nel volto, amici commensali, con insolita serenità, come avessi raggiunto uno stato ideale di pace. Senza più turbamento, ad un tratto, siedo anch’io con voi a tavola, dove sedevi tu, padre, quando la sera tornavi dal lavoro. La stessa musica si fa più tenue e si ode appena.
Lo sfondo dell’immagine è soffuso di azzurro come la veste di nonna Assunta giovinetta. Con rinnovata tranquillità ho il coraggio di guardarvi in viso e, per mirabile incanto, ho la certezza che non trascorrerete. Il tuo volto, Nadia, non è quello che vidi prima. Ora sei sbarazzina e ingenua come nel giorni di scuola ed oso guardarti negli occhi perché il tempo non saprà ferirti. Le prime rughe del tuo volto, mamma, non mi incutono più angoscia, esse appaiono come i tocchi sapienti del pittore romantico: un quadro bellissimo, che non potrà più divenire, ma che la mente serberà tra i suoi possessi con ostentato orgoglio...


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