venerdì 23 novembre 2012

Uscire dalla siepe.

Uscire dal cespuglio di rovi

nel quale sono finito impigliato per errore.

Liberarsi dagli spini, dal viluppo delle foglie,

dalla stretta e dai legacci dei ramoscelli

diventati ormai solide liane e durissimi arbusti.

Venir fuori dal groviglio delle fronde,

dalle ramificazioni che il tempo ha fortificato,

rendendo vano ogni tentativo di liberazione.

Venir fuori dalla siepe,

per il tempo che resterà

poco o tanto che sia.

E volare ancora con gli uccelli liberi del cielo,

fosse pure per un solo magico giorno.
IL NATALE DI PAUL

Rannicchiato all’interno della scatola di cartone, ormai zuppa per la neve che veniva giù lenta e copiosa e che un generoso platano, con le sue foglie aperte, riusciva a contenere solo in parte, Paul passava dal sonno leggero al dormiveglia, ruotando spesso su se stesso per lenire il dolore alle ossa, compresse sui sassi del Lungosenna.

Aveva le mani gelate ed il bavero del lacero e consunto cappotto tirato su fino alle orecchie. Gli era di compagnia solo il ritmato e sinuoso sciabordio del fiume , unica voce amica nella buia notte parigina.

Era la vigilia di Natale.

Ogni tanto gli giungevano da lontano abbagli di luci colorate, riflessi argentei e dorati del mondo degli altri, di coloro che la sorte aveva trattato in modo diverso, chissà perché.

Ma non aveva astio né contro gli uomini né contro il suo iniquo destino. L’irreversibilità di quello stato gli assicurava una sorta di rassegnazione che gli permetteva di vivere in simbiosi anche con gli elementi più ostili della natura: con il vento freddo, con la neve e con il gelo, con i dolori alle ossa, i brividi, i tremori ed ogni altro disagio fisico e mentale con cui conviveva da sempre.

Quella, però, era una notte speciale.

Paul se ne accorse quando improvvisamente avvertì per il corpo un calore insolito, quasi come se una coperta lo stesse avvolgendo per portarlo via da lì verso un altro luogo.

S’illuminò di sfavillanti bagliori il platano e la scatola di cartone divenne, come per incanto, una meravigliosa stanza di luce. I suo miseri stracci si trasformarono in abiti lussuosi e sgargianti e il suo viso, da tirato e stanco si fece sereno e luminoso. Gli apparve, allora, in un flash back inatteso l’episodio più bello della sua vita trascorsa e sfiorò le mani di Aline e la strinse in un tenero abbraccio, come quella volta del primo bacio, tanto tempo prima.

S’era mutato ora lo sciabordio del fiume in musica soave ed ogni ghiacciolo appeso s’era tinto di una miriade di riflessi multicolori. Sorrideva Aline, bella e solenne, e lo guidava, tenendolo per mano, verso un sentiero di lucentezza e di non descrivibile fulgore.

Paul sentiva di non appartenere più alla realtà delle cose. Il suo passato, i dubbi, gli errori, le fredde verità, la inesorabili sentenze della vita, gli affetti, i dolori, il riso ed il pianto, la sua misera indigenza, tutto adesso contava meno di nulla. Era diventato il più ricco dei ricchi, era lieto, sereno, finalmente affrancato da ogni umana angoscia. Non v’era moto d’animo che egli non potesse sopire in nome di una nuova e mai provata sensazione di benessere e di pace.

Guardava con commiserazione il suo giaciglio sul fiume, dimora di un’esistenza grama e miseranda, ma non aveva più rancore per quella dolorosa ed infelice vita terrena che la sorte gli aveva destinato.

Aline lo guidava perché l’intensità della luce, che lo impediva nel procedere, non l’abbagliasse oltre misura.

Sorridevano, diretti insieme verso una suprema felicità, reale ma a lui ignota.

I fiocchi di neve volteggiavano nel buio della notte e dal platano cadevano lente e silenti le foglie mosse da una bava di vento.

E s’udiva ancora lo sciabordio della Senna mentre il corpo di Paul, avvolto nel cartone intriso d’acqua, giaceva supino tra i sassi del fiume.

Ma Paul non era più un clochard.

Era la notte di Natale.