giovedì 21 aprile 2011

LA POLIZIA URBANA A GIULIANOVA NEI PRIMI ANNI DEL NOVECENTO

Una deliberazione del Consiglio Comunale di Giulianova, licenziata in data 30 novembre dell’anno 1900,  stabiliva, in uno specifico Regolamento sottoposto all’approvazione dei consiglieri presenti alla seduta, regole comportamentali riservate alle Guardie Municipali, disponendo precisi  criteri da adottare in fase di assunzione e peculiari obblighi che ognuno avrebbe dovuto rispettare durante il servizio.
La riunione, presieduta dall’assessore anziano, facente funzioni di sindaco, dott. Giuseppe De Bartolomei, si teneva in “seduta autunnale", alla presenza di dieci consiglieri (oltre al Presidente) sui sedici previsti, numero sufficiente per garantire la legalità dell’adunanza. All’ordine del giorno, come si diceva, l’approvazione del “”Regolamento per le Guardie Municipali”, ritenuto strumento ormai ineludibile per disciplinare il lavoro degli addetti al controllo della pubblica sicurezza e di altri settori della vita pubblica cittadina.
La lettura del disciplinare appare quanto mai interessante, soprattutto in rapporto alle successive evoluzioni che, nel corso degli anni, avrebbero poi modificato le stesse regole,  apportando variazioni o addirittura rivoluzionando completamente le norme, giustamente adattate, tempo per tempo, alle nuove esigenze sociali. La giunta Municipale, all’epoca, avocava a sé la nomina ed il licenziamento del Corpo di Guardia. Sulla base delle prove di un concorso pubblico si procedeva a valutare l’idoneità dei richiedenti, la loro eventuale attitudine a ricoprire il ruolo e la capacità a sostenere il servizio che veniva affidato, ai vincitori, per la durata di anni due, con possibilità di procedere poi al rinnovo del capitolato. Requisiti richiesti, età di almeno ventuno anni, ma non più di quaranta, statura non inferiore a metri 1,65, sana e robusta costituzione fisica, assoluta irreprensibilità morale. Dal punto di vista culturale si richiedeva al candidato di essere capace di leggere e scrivere e di saper  stilare un verbale o un testo similare per poter relazionare ai superiori sugli eventi occorrenti. Naturalmente qualsiasi condanna subìta, dalla quale fosse derivata un pena restrittiva della libertà personale, avrebbe rappresentato motivo sufficiente per giustificare l’immediata espulsione dal Corpo. Ma le cause di allontanamento erano anche altre: chiunque avesse commesso delitti a danno della proprietà, della pubblica amministrazione, della fede pubblica, del buon costume, o avesse apportato danni di qualsiasi natura alle persone o all’ordine della famiglia, avrebbe infatti subìto la stessa ignominiosa sorte.
A ciascuna Guardia, una volta assunta in servizio, veniva corrisposto un assegno di lire 120 perché provvedesse, per proprio conto, all’acquisto di capi di  vestiario  sufficienti per la durata di un anno. Nessuno, naturalmente, poteva però scegliere in piena libertà il modello o il colore della propria divisa, che doveva essere invece perfettamente corrispondente ad una tipologia base approvata dal Consiglio Comunale.
L’impegno, la responsabilità, le onerose mansioni quotidiane rendevano pressoché impossibile l’assunzione di qualsivoglia incarico collaterale. D’altro canto era vigente l’assoluto divieto, per una Guardia, di esercitare, in proprio, o per interposta persona, attività nel settore dell’industria o del commercio. Ognuno era vincolato al proprio ufficio in modo talmente cogente che non poteva allontanarsi neanche momentaneamente dal servizio, né tanto meno assentarsi dal perimetro del territorio comunale, se non per ragioni di estrema e documentata urgenza,  e comunque sempre e solo previo permesso del Sindaco.
Gli oneri economici connessi alla gestione di un periodo di malattia o di ricovero in Ospedale erano a carico individuale di ciascuna Guardia municipale che doveva, di tasca propria, corrispondere l’indennità dovuta autorizzandone il prelievo direttamente dallo stipendio mensile. Solo nel caso in cui la malattia fosse stata contratta per ragioni di servizio il  Comune interveniva assumendosi in proprio il carico delle spese.
Miglior trattamento era invece riservato, dal punto di vista finanziario, a chi elevava una contravvenzione di qualsiasi genere o di qualsiasi natura nell’ambito del territorio comunale. I proventi , infatti, erano divisi a metà  e finivano in parte nelle casse municipali ed in parte in tasca alla Guardia stessa  che aveva così modo di arrotondare i propri emolumenti mensili  a scapito di cittadini  colpevoli di aver violato in qualche modo la legge o di aver trasgredito puntuali normative o disposizioni.
Il verbale di contravvenzione era redatto dalla Guardia  in piena autonomia e doveva recare  chiaramente dettagliati  i fatti che avevano generato l’opportunità di procedere alla rilevazione della trasgressione, descrivendo minuziosamente l’accaduto nei minimi particolari, sicchè fosse facilmente individuabile l’autore della violazione.  D’altro canto  v’era obbligo, per ciascuna Guardia, di stilare comunque una relazione scritta, al termine del servizio, in modo da  informare le Autorità preposte sugli  episodi occorsi, ancorchè non fossero state elevate contravvenzioni di sorta.
Libero accesso era consentito ai “vigili” dell’epoca in ogni bottega, in ogni caffè, nelle varie officine, negli stabilimenti ed in ogni altro luogo pubblico. Avevano la licenza di fermare qualsiasi persona, anche semplicemente per identificarla. E chi si fosse rifiutato di declinare le proprie generalità, o fornendole non fosse risultato attendibile,  era accompagnato presso l’Autorità di Pubblica Sicurezza  perché fosse espletata ogni necessaria azione utile alla sua  identificazione..
Erano armate, le Guardie di inizio secolo, ma nessuno di loro avrebbe potuto far uso dell’arma in dotazione senza un legittimo e plausibile motivo. E questo principio era sempre valido, perché ogni Guardia Municipale doveva ritenersi continuamente in servizio, ovunque fosse, in qualunque momento del giorno o della notte, anche dopo il regolare turno di lavoro. Ed era anche sempre vigente l’obbligo di ben vestire, di tenere costantemente curata la persona, di avere assiduamente contegno urbano e rispettoso nei confronti di tutti.
Al Corpo di Guardia era preposto un “Capo Guardia” cui era demandato, in aggiunta ai compiti istituzionali, anche l’onere di mantenere l’ordine e la disciplina dei sottoposti, di tenerli costantemente aggiornati sui doveri e sulle disposizioni di legge, di curare che gli ordini impartiti dall’alto fossero eseguiti con celerità e nel modo migliore. Lo stesso preposto stabiliva i vari turni diurni e notturni stilando un apposito ordine di servizio.
Il “Regolamento per le Guardie Municipali”, così come descritto, composto da 20 articoli, fu approvato senza osservazione alcuna, all’unanimità, dal Consiglio Comunale il giorno 30 novembre dell’anno 1900 presso la Sede Municipale di Giulianova dagli undici  consiglieri presenti e votanti, ( Francesco Contaldi, Andrea Acquaviva, Luigi Crocetti, Serafino Trifoni, Donato Pedicone, Luigi Migliori, Ciriaco Paolini, Gaetano Capone Braga, Giacinto Cavalli e Luigi Orsini), quanti bastavano per rendere legale l’adunanza , con l’assicurazione che subito dopo la Giunta avrebbe reso operative le norme previste nel documento.


NUOVI INCREDIBILI FATTI DEL PASSATO

Mi aspettavo, in verità, che il mio amico ricercatore e storico potesse regalarmi, in coincidenza con le festività pasquali, qualche mirabolante sorpresa. E devo dire che egli non mi ha deluso, avendomi inviato, ieri notte, questa missiva così densa di scoperte storiche da fa rabbrividire il più preparato degli studiosi. Emergono, dalla lettura, aneddoti inediti e apparentemente non credibili. Protagonista sempre il mitico Funzine de Battaje, poliedrica figura del passato, le cui gesta il tempo ha avvolto in un velo di fitta nebbia che il mio amico, grazie alla sua indefessa perseveranza, sta lentamente dissolvendo. Questo il prezioso testo che ho ricevuto:




Caro Sergio,
Mi scuso con te per non essere riuscito a darti nuove notizie sulle
ricerche storiografiche che sto faticosissimamente portando avanti. Da
giornalista, conosci il valore della verità e sai come sia a volte
difficile distinguerla dalle menzogne; cosa tanto piu' vera se i fatti
che ci accingiamo ad esaminare appartengono ad altri tempi, a diverse
tradizioni ed a mondi al nostro pensar alieni.
Questo certosino lavoro di vaglio critico delle fonti e' ancor piu'
stressante se si considera l'oggetto del nostro cercare, quest'uomo
nuovo del secolo decimonono che pare, a ben osservarlo attraverso la
lente del tempo, aver impresso un moto tutto suo alla storia come oggi
la conosciamo. Sai bene, caro amico, quanto mi sia costato ricostruire
quei pochi attimi della Sua vita, attimi di eroismo scaturiti in
imprese che sarebbero bastati ad illuminare la storia di grandi
casate. Il Nostro, invece, pare scivolare timido e riottoso tra le
pieghe della storia, ora sostenendo la causa della democrazia in
America, ora sostenendo l'Italia, pur sempre la sua Patria.
Lo sappiamo intimo di Lincoln, ho accennato al suo contributo a favore
dell'esercito Prussiano nel 1870 a Sedan contro la Francia di
Napoleone III. E' un fatto storico dimostrato da più di un documento
ufficiale che Helmuth Karl Bernhard von Moltke fosse costantemente
accompagnato da un individuo, "grande uomo di Battaglia", che "si
esprimeva in un ottimo inglese, ma imprecava in uno sconosciuto idioma
tribale". Il generalissimo prussiano lo consultava per qualsiasi
decisione. Il "consigliere battagliero" non venne pero', al momento
del trionfo, premiato per la sua opera se e' vero, come e' dimostrato,
che si dice abbia testualmente detto:" SE 'NNA ERA PE MME SCTU' CAFONE
STEVE ANGoRE A CAVA' LI PATANE" prima di sputare per terra.
Lo ritroviamo in Italia da dove frettolosamente scappava per portare
la sua esperienza militare, ormai riconosciuta in 4 continenti, al
servizio dell'imperatore Meiji. Qualcuno dice che, ma su questo caro
Sergio non posso dare conferme, che la sua fuga sia dovuta
all'assassinio di Giuseppe Mazzini Nel 1872. L'episodio sarebbe
evocato dai versi dell'epitaffio che recita "tu in tante battaglie
duce, morto per Battaglia". Il maiuscolo ha fatto pensare Alfonsino di
Battaglia.
Ho scoperto, come dicevo, i documenti della sua permanenza in Giappone
ospite per diversi anni nella residenza dell'imperatore, onore
riservato solo a lui. Sai bene che in quel periodo il Giappone stava
riorganizzandosi dopo un lungo periodo di feudalesimo. Alfonso diede
il suo apporto nell'organizzazione dell'esercito.
Riportano le cronache imperiali:
" Alfio il Battagliatore e' il solo che può parlare guardando il
Grande Meiji. Entra ed esce dalla sua camera quando ne avverte la
voglia". Bisogna dire che al tempo l'imperatore era poco più che un
adolescente. Questa vita agiata forse lo aveva stancato se e' vero
che, Nel corsoc della rivolta di Satsuma nel 1877, alzandosi da tavola
e ruttando in faccia al Divino abbia esternato: "je so nu cujone
arrete stu cellancule" (frase ricostruita dall'onomatopea riportata
sulle fonti). E' un fatto storico che Alfonso compare nella battaglia
decisiva di Shiroyama tra le fila dei Samurai dissidenti avversi al
potere imperiale. E qui accade un fatto storico importantissimo a mio
avviso, e sul quale sto raccogliendo ancora documenti. Te lo propongo
come credo di averlo capito analizzando sia il racconto degli
imperiali sia le leggende tramandate dai pochi samurai superstiti.
Nel corso della battaglia si viene a creare una situazione di netta
superiorità delle forze imperiali. Alfonso guida l'ultimo disperato
arrembaggio quando, ritrovatosi solo di fronte al fuoco nemico, visto
il cadavere di un ufficiale imperiale e velocemente requisita
l'uniforme, si ritira dietro un cespuglio e ne esce ufficiale
Dell'Impero pronto a guidare il decisivo attacco agli ormai inermi
Samurai.
Si dice che, nel "cambiare casacca" dietro il cespuglio, abbia causato
la fuga di una quaglia da che deriverebbe l'espressione "salto della
quaglia". Tuttavia io non mi curo di tali leggende non suffragate da
documenti precisi e testimonianze attendibili. E' un fatto storico
pero' che nel teatro della sanguinosa battaglia si fronteggino due
statue monumentali, di eta' diverse, una raffigurante la disperata
furia guerriera del Samurai, l'altra la determinata azione
dell'Ufficiale Imperiale.
Entrambe tratteggiano i lineamenti ormai ben conosciuti di questo
Grande, troppo sconosciuto alla Storia, Alfonsino Di Battaglia.
Sto raccogliendo altri dati, frammenti, informazioni, brani di
leggende che mi permettano di andare avanti nella mia ricerca. Conosci
la mia volontà di non diffondere opinioni o congetture ma solo solide
realtà storiche.
Il lavoro e' duro, e ti ringrazio ancora per il conforto che mi offre
la tua disinteressata curiosità.