venerdì 8 giugno 2018

COME LE FORMICHE.... Brano tratto dal racconto "LA PANACEA SECONDO LUCA"

La situazione era precipitata. Ci si preparava ad un ormai non più evitabile conflitto mondiale che avrebbe avuto esiziali conseguenze per tutta la stirpe nota delle formiche. Solo il destino unico agente esterno, imponderabile per tutti,  avrebbe potuto ora evitare la grande guerra.
E proprio il destino, al quale in verità nessuno dei capi di Governo in quel momento stava pensando, si interpose tra le pagine di quel libro di storia, all’improvviso, e ne scrisse l’ultimo tragico capitolo.
Mentre Salizolla era in viaggio, prima ancora che potesse giungere alle porte del Formicaio di Valmattone per consegnare il funesto documento, si udì per l’aria un boato lontano, cupo e sinistro, che divenne all’improvviso agghiacciante fragore e poi terribile esplosione. La terra si aprì fin dentro le sue viscere, come compressa sotto un’enorme ed immane massa corporea, ignota, proveniente dal cielo. Non ci fu più luce e l’aria si impregnò di odori nefasti e nauseabondi. Un calore improvviso pervase ogni luogo ed aumentò rapidamente fino a raggiungere temperature di fusione. Innocenti larve di formichini appena nati volarono allora nella tempesta di vento come fuscelli. In un attimo solo crollarono come castelli di carta  Montorica e Valmattone, e si impastarono insieme in un unico ammasso di terra che stravolse i confini e gli sbarramenti, le frontiere ed i limiti territoriali  stabiliti e definiti con tanta cura dalle leggi giurisdizionali delle formiche. Milioni di individui,  giovani, anziani, vecchi, maschi, femmine, rimasero orrendamente schiacciati da quella massa informe e nessuno in quella poltiglia di terra avrebbe più davvero distinto gli abitanti di un Formicaio da quelli di un altro, i Capi di Governo dai rivoluzionari, gli intellettuali dagli analfabeti, i generali dai soldati, i ricchi dai poveri. S’erano fusi insieme i Formicai di terra dura e quelli di terra friabile, i giardini di erbetta ed i ricoveri occasionali di chi non aveva avuto, e non avrebbe mai più avuto, alcuna dimora.

Il piccolo Luca, giocando e correndo,  aveva inavvertitamente calpestato quella pur minuscola porzione di terreno che per tanto tempo aveva rappresentato il mondo intero per tante comunità di formiche, raccogliendo in sé gioie, illusioni, speranze, sogni di gloria, odi, rancori, invidie ed inganni, desiderio di fama e di grandezza, aspirazioni e brame di potere. Tutto vano, tutto inutile, tutto svanito. Tutto diventato nulla.
Con il suo gesto accidentale Luca, con una involontaria panacea, avea dissolto i dubbi di Dulcicoda, frenato le bramosie espansive di Duroventre, posto fine ai dissidi interni di Passopiano, infranto i sogni rivoluzionari di Mandibola, annullato le due super potenze. Aveva  risolto, insomma, tutti i problemi esistenziali dell’intera stirpe delle formiche.

 - Qui c’è un formicaio - gridò alla mamma Luca, il quale non si era accorto che i formicai in verità erano più di uno perché non ne aveva distinto i confini e perché gli era sfuggita, evidentemente, quella storica e laboriosa divisione territoriale che aveva rappresentato motivo di contesa per tanto tempo tra i vari capi di Governo. 

 - Ci sono tante formichine morte, vieni a vedere, mamma!-
E così dicendo trasse da quella poltiglia informe, sollevandone il cadavere con l’indice ed il pollice della manina, le gloriose spoglie mortali del prode Mandibola, cui la sorte non avrebbe potuto riservare più degna fine che quella di avere ultima apoteosi tra gli uomini, dopo aver avuto fulgida ed epica fama tra le formiche.