mercoledì 20 maggio 2020

LA CITTA' DELLA GIOIA

Durante un periodo di crisi e di malessere generale la lettura di un libro può aiutare a guardare la vita in modo diverso, a dare il giusto peso alle cose, a valutare gli eventi e le circostanze per ciò che in realtà sono e non per come scaturiscono dalle costrizioni sociali, anche se derivanti da momenti di ineluttabile contingenza, come può essere una tragica pandemia.
Così la lettura di un libro può rappresentare un episodio importante della propria vita se aiuta a guardare la vita stessa con occhi diversi, più attenti alla storia degli altri, soprattutto dei deboli, degli emarginati, di coloro che si cibano di rifiuti, che dormono in tuguri di fango di un metro per due, che non dispongono di acqua corrente, né di elettricità, né di fognature. Di coloro che trascorrono giornate intere nella sporcizia e nella melma e che per tale ragione contraggono malattie contagiose e spesso mortali. Ma soprattutto la lettura di un libro può aiutare a riflettere quando la storia che in esso si narra non è romanzo o frutto di fantasia, ma cruda verità.
Forse si fa fatica a credere che un giovane medico, rampollo di una famiglia agiata, figlio di un noto e stimato (e ricco) professore di Miami, titolare di una clinica privata, possa avere il coraggio di piantare baracca e burattini, rinunciando ad una carriera professionale brillante e sicura, per andare proprio in mezzo a quell'inferno, a curare, gratis et amore dei, i poveri, i poverissimi reietti che stentano a sopravvivere nella bidonville di Calcutta. E li cura in modo esasperato, al limite del credibile, effettuando operazioni chirurgiche in condizioni proibitive, tra i topi che cadono dal soffitto sul tavolaccio adibito a sala operatoria, utilizzando una comune sega da falegname per amputare gli arti e vedendosi portar via il braccio appena amputato da un cane rognoso che aspetta famelico sotto il tavolo. Un uomo che inizia a vivere tra i lebbrosi avvicinandoli senza repulsione e che cura i loro bambini, che prova quasi disagio ad essere sano e diverso da loro, che accetta per se stesso come dimora una sistemazione "eccezionale" perché in muratura, ma infestata da topi, scarafaggi e scorpioni. E non è fantasia, ma realtà... 
Quello che più di ogni altra cosa avvince leggendo il libro  di Dominique La Pierre ("La città della gioia" Vol. II, traduzione italiana di Elina Imberciadori, ed. Mondadori) al di là dello smarrimento e dell'incredulità, oltre che dell'innegabile ribrezzo, è il senso di generale solidarietà che emana da ogni capitolo, da ogni pagina, da ogni riga. Persone colpite dalla sorte senza pietà, uomini, donne e bambini senza futuro, impegnati solo ad inventare il modo per tirare avanti la giornata  e per non cedere alla fame ed agli stenti, riescono ad essere tra loro amorevoli, generosi, affettuosi, solidali, teneri ed altruisti. Un mondo fatto di piccole cose, ma di sentimenti immensi...
Un modello esemplare per lo squallore e l'ingordigia del mondo "civile" , perso nella falsità del suo arrivismo, della competizione, della scalata al potere, della conquista di posizioni di prestigio, abbagliato dai falsi miraggi del dio denaro. 
E tante se ne potrebbero dire o scrivere, ma la lettura del libro vale più di ogni recensione nella sua disarmante verità, tagliente come una lama di rasoio, a volte addirittura fastidiosa ed importuna perché inconfutabile, obiettiva, difficile da accettare. Ti fa quasi sentire colpevole di essere sano, ricco delle tue cose, una sola delle quali in quell'inferno farebbe la felicità di molti.
Una lettura che può davvero aiutare a guardare il mondo con occhi diversi. A guardare le rinunce ed i disagi imposti da questa pandemia come mali tollerabili e passeggeri, perché ti privano temporaneamente del superfluo, dell'eccessivo, spesso dell'inutile.
Nella difficile ascesa di un monte, ripeteva sempre il mio amato genitore alludendo alla dura scalata della vita, se vuoi essere felice guarda sempre chi stenta più di te nella salita. Troverai forza e coraggio e soprattutto darai il giusto valore alle cose che possiedi e che spesso non apprezzi in modo adeguato.
Quelle cose che per altri potrebbero rappresentare la felicità.