Quello che subito si avverte, quando si entra nel
cuore del paese, è un silenzio sovrano, ovattato, quasi irreale.
Castelli oggi è paese ferito, colpito in modo crudele
da eventi di sciagura e di disgrazia, con il suo prezioso corredo di arte e di
storia. Colpiti gli abitanti costretti a
cambiare vita ed abitudini, ad accettare compromessi, a vivere in modo
alternativo, diverso. Colpiti il turismo, il commercio, la ricettività. Ma è
fatta salva l’accoglienza. Ti accolgono col sorriso sulle labbra ed hanno
voglia di raccontare. Quasi a voler declinare ogni propria responsabilità, per
puntare il dito contro l’imprevedibilità della sorte, contro la fatalità, contro un fato avverso che cambia le carte in
tavola dalla sera alla mattina, aprendo scenari di assoluta precarietà.
I castellani raccontano la loro storia e pare che non
abbiano immediati riferimenti al tempo che scorre. Non importa ormai. Passa
un’ora, ne passa un’altra. Raccontano particolari e minuzie dell’epocale evento
che ha accumulato tre metri di neve fino a chiudere gli usci delle case per intere
settimane. Raccontano dell’interruzione dell’energia elettrica per giorni e
giorni. Poi del terremoto. Un fatto avvenuto, non trascorso. Restano i segni,
le ferite, gli effetti deleteri sulle cose, sulle persone, sugli animi, nel
profondo del cuore.
Qualche polemica, qualche diatriba: si poteva fare
questo, si poteva, non si poteva…
Non si prevede il terremoto, ma si poteva prevedere il
maltempo. Forse.
Intorno al tavolo del bar fiumi di parole, pareri
diversi, a volte contrastanti. Ma non c’è astio, forse rammarico. La situazione
attuale affratella tutti. Si coglie un comune e condiviso sentimento di
solidarietà, come se si volessero tutti più bene. Una famiglia. Ristretta,
purtroppo. Ci dicono che gli abitanti non sono più i milleseicento di un tempo.
Sono meno. Molto meno. Forse cento. Sono andati tutti via, soprattutto i
giovani. Quei giovani che l’ Istituto Statale d’Arte per la ceramica ha tempo
per tempo forgiato perché fossero testimoni e propagatori della nobile arte castellana. Molti di loro sono oggi eccellenti artigiani,
artisti, professionisti. Ma altrove.
Eppure nell’animo di tutti i paesani continua ad
ardere un fuoco mai sopito. Con la fierezza e la caparbietà che distingue le
genti d’Abruzzo ognuno ha nell’animo il desiderio fermo di riprendere a
camminare, e poi a correre. Come un tempo.
In giro per le vie e passeggiando nei vicoli si
incontrano botteghe aperte, manufatti esposti quasi come se nulla fosse
cambiato da qualche tempo a questa parte. Ti accolgono con amabilità, con
garbo, ma con dignità e con estrema fierezza, consapevoli del valore del
prodotto. Non oggetti, opere d’arte. Un’arte che va oltre ogni più drammatico
evento, che trascende ogni limite imposto dall’imponderabilità della sorte, che
conserva il suo intimo ed intrinseco rilievo anche a fronte del più sventurato
avvenimento.
Sono fieri e gentili i castellani.
Questo ho colto conversando con alcuni di loro, al
tavolo di un bar, pur vedendoli per la
prima volta.
E’ stato come
rubare una porzione di tempo alla routine quotidiana per toccare con mano una
realtà diversa intrisa di sofferenza e di dolore.
Vivono ora in un microcosmo senza tempo, ma nel cuore
di ciascuno palpita ancora, in modo vibrante e fremente, il fermo desiderio di tornare alla normalità
ed al glorioso fasto di un tempo.
(Continua)
chi lo ha scritto? e dove "continua" ... grazie
RispondiEliminaLo ha scritto Sergio Di Diodoro.....
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