venerdì 17 settembre 2010

LE RECENSIONI

IL SOLE D'AMERICA


Nasce nello scrigno riservato di intime memorie l’ordito di un romanzo-verità, opera  di una scrittrice emergente assurta agli onori della letteratura contemporanea dopo aver ottenuto, nel 2003,  in aggiunta a precedenti lusinghieri premi letterari, anche un importante riconoscimento  di notevole rilievo come il Premio Strega. Con “Vita” Melania Mazzucco, dopo significative esperienze maturate nel settore della narrativa, ma pure in quello della  sceneggiatura cinematografica, punta i riflettori, in modo discreto ma non meno avvincente, su  coloro che , all’inizio dello scorso secolo, varcarono l’Oceano per andare a trovare migliori fortune, e forse la ragione stessa di esistere, nella lontana America, allora oggetto delle più fantasiose elucubrazioni oniriche.

Vicende, sogni, speranze, illusioni infrante. Nel magico caleidoscopio della scrittrice romana tutte le sensazioni si mescolano all’interno di un percorso narrativo che trae materia, a piene mani, da una vicenda autobiografica, rivissuta capitolo per capitolo scavando non solo nella memoria, ma anche tra i documenti originali di una anonima epopea familiare.
Vita e Diamante, questi i nomi dei due protagonisti, rappresentano l’emblema di un periodo storico fin troppo contrassegnato dalle chimeriche aspirazioni di milioni di emigranti, abbacinati dal miraggio di un futuro illuminato dal sole americano non meno che delusi dal successivo tramonto delle proprie illusioni.
Tra i  vicoli di New York, nei cui oscuri meandri prolifera la miseria di uomini e donne, tutti  provenienti dalle stive di una nave,  la storia dei due ragazzini , vera ed intensa, si riannoda alle vicende familiari dell’autrice, rivissute  a volte in modo surreale, ma non meno intrise di partecipazione affettiva, a riprova che esse sgorgano direttamente dalla fonte inesauribile della rimembranza.

Melania Mazzucco muove le fila della narrazione con sapiente maestria, modulando i toni della crescente tensione emotiva quando si avvede  di aver toccato a fondo la sensibilità di chi legge. E’ allora che introduce documentazioni  storiche, frutto di attente ricerche condotte rovistando tra archivi ed emeroteche, ma anche sul campo, traendo spunti dagli aneddoti rievocati dal padre, talora da lui stesso fantasiosamente elaborati, un po’ fiabeschi, spesso anche inverosimili, (ma “solo ciò che viene raccontato è vero…”), oppure andando a  spulciare la corrispondenza dell’epoca  o a esaminare i registri di imbarco e sbarco delle navi. In questa continua alternanza di storia e memoria, sublimata  dal riuscito accorgimento di velare il tutto in un’ambientazione onirica e surreale, sta il valore precipuo del romanzo, profondo ed avvincente in ogni sua parte.


Ai fini di un giudizio comparato, volendo cogliere l’aspetto meno suggestivo della scrittura, si potrebbe forse rilevare una certa  gravosità proprio nella parte strettamente documentale, sotto il peso della quale scricchiola, a tratti, la fluidità espositiva, soverchiata dalla pletorica elencazione di  nomi date e luoghi che non rende giustizia all’assunto di base, risultando talora pleonastica nel disegno narrativo originario.

  Ma si tratta di  sofismi che non minano la robusta corposità  di un’opera  suggestiva, imperniata sulla trasposizione di una storia cruda e intensa , rivisitata  in modo da rendere emozionante la vicenda dei due piccoli emigranti, impegnati per non veder svanire nel più evanescente disincanto i loro sogni e la speranza di apprendere, di crescere, di uscire per sempre dall’anonimato  e dal buio della miseria.
E’ la ricerca ostinata, caparbia, irrinunciabile, di portare a termine un viaggio iniziatico fino a penetrare nel cuore di un vagheggiato quanto ineffabile paradiso:  un’  ”” America che non esiste, io lo so perché ci sono stato””.
Il  grande miraggio,  la meta agognata, la visione onirica  della cui esistenza è paradossalmente lecito dubitare.

 “”VITA””
Melania  G. Mazzucco
Ed. Rizzoli – pagg. 396
Premio Strega 2003



NO, NON E' UN UOMO

Un libro-verità può apparire pesante, non godibile, magari fuori luogo per un’amena lettura, rilassante ed estiva, sotto l’ombrellone. Ma un libro-verità può anche servire, e molto, come riferimento per apprezzare ancora di più la libertà di cui si dispone, il benessere incondizionato che non conosce impedimenti o limitazioni, insomma quel free live che sembra sempre scontato e dovuto, patrimonio intoccabile di ciascuno. Molti avranno letto l’opera più importante di Primo Levi e probabilmente questa  modesta recensione potrà allora risultare pleonastica, ove non del tutto inutile, data la notorietà del testo e la sua meritata e diffusa fama in tutto il mondo.
Eppure presentare “Se questo è un uomo” appare doveroso, non fosse altro che per fornire una traccia, magari alle nuove generazioni, su uno degli eventi storici più umilianti per l’umanità da quando essa è comparsa sul pianeta Terra. Chi non ha più vent’anni si accosta  alle prime pagine del volume con un senso di sgomento, quasi con angoscia, come se non volesse davvero sapere tutto, come se preferisse non conoscere i particolari, tenere la testa sotto terra, far finta di nulla, credere che sia stato tutto un gioco. Ma poi, a poco a poco, si entra, condotti per mano dall’autore, in una dimensione  tormentosa e inquietante, con l’animo di chi si sente coinvolto come se fosse egli stesso colpevole, in parte responsabile di ciò che è accaduto, di ciò che è davvero accaduto in uno dei campi, vicinissimo ad Auschwitz, ove Primo Levi,  chimico ebreo torinese, fu detenuto per un anno e da cui tornò,  dopo essere scampato,  Dio sa come, alla comune e fatale sorte di tutti gli altri compagni di prigionia.
La narrazione, diario crudo e schietto,  procede senza sfumature e nulla concede alla fantasia. Tutto è terribilmente vero e tutto è riferito in modo autentico, a volte spietato, fino a far male. Una realtà che si vorrebbe eludere, un film che si vorrebbe non vedere e che pure si guarda con la consapevolezza che nulla di peggio potrà mai accadere, fino ad essere clamorosamente smentiti dalla scena successiva, ancora più terribile,  e poi da un’altra ancora, in una serie di eventi esecrandi ed ignominiosi, pietosi e ripugnanti.
Un libro che dovrebbe essere adottato nelle scuole come testo storico di riferimento e letto come diario spirituale di un uomo che ha toccato con mano l’essenza più riprovevole della razza umana, uscendone fisicamente logorato e distrutto nell’animo, per sempre segnato dal gravame e dall’afflizione dei ricordi, svuotato dentro, non più capace di un sorriso fine a se stesso.  E da quello stato di inerzia scaturisce la disillusione più profonda che sublima in espressioni che non lasciano spazio ad alcuna speranza di ripresa :“”Non è dato all’uomo di godere gioie incontaminate””. Dopo la cupa esperienza non c’è margine per guardare il mondo come prima e lo stato di sconforto culmina nella funesta decisione di chiudere presente e passato nel gesto più eclatante, vera panacea ad ogni residuo ricordo, finale scontato di una vita diversa dalle altre. Primo Levi muore suicida nel 1987, annientato dalle vicende , sopraffatto dagli eventi, ma senza odio o rancore verso l’origine del suo male, descritto sempre come un’entità astratta ed ineluttabile, di cui rappresenta la portata senza commentarla  e senza  assurgere al pur facile ruolo di vittima sacrificale.
Descrivendo l’indescrivibile egli mostra i più reconditi istinti della natura umana, quelli feroci e indicibili, forse latenti in ciascuno e destinati ad emergere in situazioni di particolare criticità. Certo il dubbio palesato in copertina, riguardo ad un’opera che non conobbe immediata fortuna tra gli editori, resta immutato ed indenne fino alla lettura dell’ultima pagina. E se mai qualcuno volesse, alla fine,  rispondere davvero, dovrebbe in tutta coscienza riconoscere che “no, questo non è un uomo….”
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IL SENSO DELLA VITA
Cosa accadrebbe a chi all’improvviso dovesse accorgersi di aver ingiustamente dedicato la propria vita al conseguimento di  effimeri valori che con le loro false lusinghe gli hanno appannato per lungo tempo la capacità di discernere il bene dal male, il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, costringendolo a voltare le spalle alla vera felicità per inseguire illusorie chimere?  E come reagirebbe un professionista affermato e famoso se un giorno qualsiasi nel suo vissuto quotidiano apparisse uno sconosciuto in grado  di saper riconoscere le persone prossime alla morte?

Già nelle prime pagine del suo avvincente romanzo Guillaume Musso pone indirettamente il lettore davanti a queste insolite domande, coinvolgendolo in una situazione di assoluta stravaganza. Ma a Nathan, protagonista della storia, tutto ciò accade realmente. Avvocato ricco e famoso, “brillante ed orgoglioso di sé”, si trova, uno strano mattino della sua esistenza, a dover riesaminare la propria vita, poiché per la prima volta è costretto  a considerarne, come imminente, la fine. Un indesiderato e sconvolgente annuncio che gli giunge velatamente (e poi si scoprirà perché) da un fantomatico personaggio, medico,  accreditato del potere di individuare gli esseri umani prossimi ad abbandonare la propria esistenza terrena. Per il protagonista della vicenda l’evento equivale, e qui la cruda universalità della storia, a dover sentire per la prima volta come realmente possibile, anzi prossimo, il definitivo ed irrevocabile abbandono del castello di potere costruito accumulando nel corso degli anni successi professionali, conquiste sociali, immagine, gloria e soprattutto tanto denaro. Beni che all’improvviso, davanti alla concreta possibilità della morte, diventano futili ed eterei, apparenti, falsi ed illusori,  in una parola inutili. Assumono di contro carattere di autenticità altri valori che la sete ingorda di fama e di potere ha sepolto sotto il cumulo dell’egoismo: nel caso di Nathan si tratta del rapporto con la moglie, guastato per sempre da un inevitabile divorzio, conseguenza logica del  tanto, troppo tempo dedicato al lavoro ed alla carriera professionale. Ma ancor più del rimpianto per le occasioni e le opportunità perdute di poter trascorrere momenti della sua vita accanto alla figlia Bonnie , sempre amata, ma tralasciata, dimenticata, messa da parte per lasciare spazio alle lusinghe di una fulgida carriera forense.
L’incontro con Goodrich, medico dotato di quell’angustiante capacità paranormale, costringe Nathan a riesaminare il proprio vissuto, non senza drammatiche concessioni ad un feroce rimpianto, esacerbato dall’ineluttabilità di alcune scelte trascorse, ed ora inutilmente rievocate. La  spietata universalità del racconto coinvolge chi legge proprio per via della vessante globalità del messaggio. Il tema della futilità di ogni bene terreno,da ciascuno sepolto sotto l’immane massa del successivo evolversi degli eventi quotidiani, emerge in modo scomodo, irritante, fastidioso, suscitando un forte desiderio di rifiuto, ma al tempo stesso un’  inevitabile sottomissione. Il momento della redenzione esplode in tutta la sua deflagrante potenza  suscitando nel lettore retoriche, ma drammatiche domande sulla reale valenza di alcuni stereotipi della vita di oggi: cosa rappresentano ricchezza, potere, agi, lusso, fama, gloria, prestanza fisica, nel momento in cui una persona che ha la possibilità di farlo, ti comunica la data, imminente, della tua morte?  Un fantastico quanto inatteso finale non libera la mente da un’ ingombrante inquietudine che dovrebbe risultare di ausilio a qualcuno per valutare con occhi diversi il vero senso della propria vita.

Un libro che si può leggere al mare, sotto l’ombrellone, perché l’atmosfera serena e frivola della vacanza consente un approccio mediato e più distaccato con la pregnante immanenza del messaggio.
 Ciò può aiutare a mitigare,  ma non ad eludere, una comunque benefica e catartica angoscia.
                                                                                                            
                                                                                                           
“”L’uomo che credeva di non avere più tempo”
Guillaume Musso
Trad. di Fabrizio Ascari
Ed. Rizzoli – pagg. 372

(tratto dalla Rivista bimestrale  "Crescere"- anno 2010)

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