mercoledì 22 settembre 2010

PER QUELLI CHE RICORDANO…. (Brano tratto dal romanzo autobiografico “Abitavamo in via Quarnaro”, di prossima pubblicazione)



Il chioschetto di Vivì era situato alla fine di via Quarnaro, nel punto in cui la strada confluiva (e confluisce) con Viale Orsini. Era ai margini dei “giardinetti” , proprio davanti alla Scuola elementare. Era una piccola bancarella, coperta, tipo casetta, di colore azzurro chiaro. Quando era aperta e funzionante uno dei lati si apriva a veranda e diventava una sorta di bancone per la clientela. Da uno dei lati una porticina consentiva l’ingresso all’interno. E all’interno c’era l’indimenticabile Vivì.

Era costui un uomo anziano, piuttosto malandato, vestito di abiti consunti, quasi completamente senza denti. Aveva  un braccio semiparalizzato sempre appoggiato al bancone  e  la mano destra nascosta in un guanto di lana marrone scuro, sia d’estate che d’inverno. Vendeva banane, carrube, dolciumi e dolciastri. Nella parte bassa della casetta c’era una specie di verandina a vetro e all’interno erano ammucchiati alla rinfusa confettini colorati, mazzetti di figurine, piccoli contenitori di plastica contenenti liquidi azzurrini e rosati che altro non erano che zucchero diluito e colorato. Poi palloni di plastica, girandole, caramelle. E tante altre cose ancora. Noi andavamo lì  quasi sempre per acquistare mentine bianche che non erano vendute confezionate, ma alla rinfusa. Ne compravamo dieci o venti alla volta. Vivì le rovesciava sul bancone da un barattolo di vetro  e poi le contava con la mano inguantata allontanandole una alla volta dal mucchio.

Raggiunto il numero desiderato riponeva la mentine avanzate nel barattolo (sempre spingendole con la mano inguantata). A quel punto noi potevamo raccogliere le mentine sul bancone, non prima, però, di aver pagato quanto dovuto (cinque o dieci lire, a seconda dei casi). Anche questa era un’abitudine quasi giornaliera. Soprattutto durante i mesi estivi quelle mentine erano appiccicose e spesso sporche e finivano nelle nostre mani quasi sempre sudate e luride…. Quanti anticorpi!! Non c’erano regole igieniche e se c’erano erano totalmente disattese da venditori e da clienti.


Ma si viveva lo stesso. Provate voi oggi ad andare sui massi del porto a raccogliere le cozze ed a mangiarle crude con un filo di limone spremuto. Noi lo facevamo. E nessuno di noi mai contrasse un’epatite…!

In concorrenza con Vivì c’era, sul lato opposto dei giardinetti di via Quarnaro, la bancarella di Pippo. Era collocata sul marciapiede di via Nazario Sauro ed era molto simile all’altra, sia per forma che per colore. La differenza era che Pippo vendeva, in massima parte, banane. Aveva poi qualche giocattolo e, a volte, noci di cocco tagliate a pezzi. La bancarella era più alta e disponeva di un piano rialzato che le conferiva un aspetto più dignitoso rispetto a quella del concorrente. Lo stesso Pippo era poi un personaggio diverso. Lo ricordo abbastanza alto, (o lo era per me che ero un ragazzino?), un po’ sornione, sapeva come presentare la sua merce, spesso sollecitando l’ interesse dei bambini con performances improvvisate. Antesignano di alcuni artisti di strada  presentava i giocattoli a molla facendoli girare per il marciapiede dopo averli caricati. E d i bambini facevano capannello intorno al chiosco piantando lamentose richieste ai genitori...

Mi chiedo oggi quali licenze commerciali fossero necessarie all’epoca per poter esercitare legalmente un lavoro simile o quali gabelle fossero richieste per l’occupazione del suolo pubblico. Altri tempi, maggiore libertà, tutto più semplice, burocrazia quasi zero. Eravamo tutti più felici…

1 commento:

  1. Nel mio ricordo i due chioschi si erano fusi in uno unico. Ricordavo genericamente un chiosco più o meno all'altezza del negozio di... non ricordo il nome, la signora dove andavamo a comprare il maritozzo con la cioccolata o il panino con la mortadella o la prosciuttella. Insommma mi ricordavo di un chiosco, e per me era quello di Vivì. Di Pippo mi ero dimenticato completamente. Allora mi domando. Quanti saranno i ricordi per i quali abbiamo rimescolato le carte, che abbiamo fuso, che abbiamo scambiato, eccetera? Comunque ricordo come se ce le avessi davanti quelle bottigliette di plastica con dentro l'acqua colorata. Però mi chiedo se era Vivì che vendeva il TOM, il surrogato di cioccolato. O era Pippo? O era il negozio di alimentari della signora di cui non ricordo il nome? Con quel TOM credo di averci lasciato almeno un paio di denti che si sono cariati...

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